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Scuola, sindacati a Renzi: “Deportati? Conta il messaggio”

CAGLIARI - "La parola 'deportato' è certamente forte, ricorda

Pubblicato:22-09-2015 11:16
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:34

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scuola_corteo-insegnanti-arrabbiatiCAGLIARI – “La parola ‘deportato’ è certamente forte, ricorda momenti tragici della nostra storia, però effettivamente i lavoratori della scuola hanno vissuto anni di precariato ed enormi sacrifici. Molti di loro hanno anche 20 anni di precariato alle loro spalle, e subiscono un’instabilità ormai radicata nella loro vita”. Così alla “Dire” Caterina Cocco, della segreteria regionale della Cgil sarda, dopo le parole del premier Matteo Renzi ieri alla direzione nazionale del Pd, dove ha invitato gli oppositori della riforma della scuola a non evocare più- per rispetto alla loro vera tragedia- la vicenda dei deportati della seconda guerra mondiale.

“Qui non stiamo parlando di una scelta fatta dai docenti di allontanarsi dalla propria terra, ma di un obbligo- continua Cocco-. La parola deportazione è forte, ma serve a spiegare il disagio che gli insegnanti vivono dopo anni di sacrifici, è unicamente un modo per far capire meglio la situazione e fare arrivare il messaggio più forte”.

Secondo Bianca Locci, fondatrice e portavoce del comitato di docenti precari “valigie 10 agosto” (che domani organizza un sit-in di protesta sotto il Consiglio regionale di Via Roma), “Renzi dovrebbe tener conto della sostanza, più che attaccarsi a queste cose. Sa benissimo il premier che nessuno ha interesse a mettere sullo stesso piano un’emigrazione forzata come quella dei docenti (perchè si tratta di questo), con la tragedia dell’olocausto. Ma Renzi pensa solo a depistare l’opinione pubblica- continua- in questa maniera le persone non sono portate a pensare qual è il problema serio di questa riforma. È  un termine che comunque rivendichiamo, perché la sofferenza è diventata negli anni profonda e forte- spiega-. Io personalmente ho sempre parlato di ‘deportazione affettiva’, perché si vive con grande ansia questi spostamenti, lasciando spesso la propria famiglia, senza neanche sapere quando si può tornare. Servirebbe un po di buon senso e umiltà- conclude Locci- ma la responsabilità non è solo del Governo nazionale. Anche la Giunta regionale ha le sue colpe, in quello che è un vero e proprio smantellamento del tessuto sociale sardo”.


di Andrea Piana – giornalista

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