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Il 20% degli italiani è vittima di stalking

Il 50% degli atti persecutori avviene in relazioni di coppia, poi tra vicini, in famiglia, a lavoro e a scuola

Pubblicato:22-06-2017 11:18
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:27

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ROMA – “Circa il 20% della popolazione italiana è, o è stata almeno una volta nella vita, vittima di atti persecutori“. Lo rivela alla DIRE Massimo Lattanzi, presidente dell’Associazione italiana di psicologia e criminologia (Aipc), che dal 2002 al 2006 ha condotto la prima, e forse unica, ricerca sul territorio nazionale monitorando 16 regioni in Italia.

“L’incidenza è rimasta costante ed è confermata dagli ultimi dati ufficiali in base all’articolo 612 bis del codice penale, che nel 2009 ha normato il reato che a livello internazionale è definito come stalking: atti persecutori che causano, in chi li subisce, cambiamenti di abitudini, ansia e paura”.


 

Dove avvengono i reati di stalking?

“Un caso su due di stalking, circa il 50%, riguarda manifestazioni vessatorie che avvengono nelle relazioni di coppia. Una percentuale significativa si verifica anche tra i vicini di casa, sul posto di lavoro (da non confondere con il mobbing), in famiglia e a scuola (da non confondere con il bullismo)”.

L’Associazione Italiana di Psicologia e Criminologia è nata 15 anni fa. Anni contraddistinti da grandi risultati, in particolare l’Osservatorio Nazionale sullo Stalking e il Centro Presunti Autori di violenza.

“La vera rivoluzione apportata dall’equipe multidisciplinare di volontari professionisti- si legge sul sito socialmente.net– è la creazione del protocollo preventivo riparativo integrato e circolare, che risulta essere efficace ed efficiente nel 70% dei casi di violenza. Il protocollo accoglie tutti i protagonisti (vittime, autori e familiari) senza distinzioni di genere, ed è il risultato di numerose ricerche scientifiche, alcune innovative anche a livello internazionale”.

Insieme alle “presunte vittime e ai presunti carnefici cerchiamo di comprendere come mai abbiano subito oppure messo in atto violenza all’interno della relazione. Cerchiamo di far capire a entrambi cosa ha portato loro a creare la relazione disfunzionale e- conclude Lattanzi- quando è possibile lavoriamo anche con i figli”.

di Rachele Bombace, giornalista professionista

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