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VIDEO | Caso Vannini, la mamma: “In appello mi aspetto giustizia giusta”

ROMA - Marina sorride mentre scorre sul suo cellulare le foto del figlio che le hanno ucciso. Scatti di Marco

Pubblicato:22-01-2019 17:23
Ultimo aggiornamento:22-01-2019 17:23
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ROMA – Marina sorride mentre scorre sul suo cellulare le foto del figlio che le hanno ucciso. Scatti di Marco in famiglia e quelli più noti che compaiono ancora sulle vetrine dei negozi, nelle scuole e sui campi di calcio di due comuni, Ladispoli e Cerveteri, che non mollano i due genitori da 44 lunghissimi mesi. E’ veloce Marina, si destreggia tra mail, social e WhatsApp con disinvoltura. Lei che se voleva sentire Marco alzava la cornetta come si faceva una volta. Lei che ricorda quando Marco la prendeva in giro, implorandola di imparare un po’ di tecnologia.

UNA MADRE

Oggi la signora Marina Conte, la mamma di Marco Vannini, ucciso in una notte ‘noir’ tra il 17 e il 18 maggio 2015, ha imparato ad usare i social, ha diverse cartelle sul suo cellulare, ha le chat con gli avvocati e le mail dei giornalisti. E nella stessa cucina, dove Marco ha soffiato sulla sua ultima torta di compleanno, sorseggia un caffè, si concede l’immancabile sigaretta e all’agenzia Dire racconta quello che è per tutti il ‘caso Vannini’. Ma non solo. Apre la sua casa, le foto, le abitudini dei 20 anni bellissimi con Marco: un ragazzo assennato, fresco di diploma al liceo scientifico, che al primo anno di superiori era sbocciato di bellezza, con i suoi capelli biondi, l’altezza, una dialettica decisa, i primi sogni e quello più grande: il volo.

I 20 anni con Marco sono stati meravigliosi. Ma sono stati pochi. Non c’è stato il tempo di fare tutto’. E quante altre cose ancora da conoscere insieme stavano nel cuore di questa madre coraggio, ora tenuta in piedi solo dalla ricerca della verità. ‘Non è facile per un genitore al quale hanno ucciso un figlio rimanere lucido e lottare per avere giustizia. Sono sempre stata una donna forte e ho una famiglia che mi sostiene, mio marito che mi e’ sempre vicino. Noi siamo in vita per dare giustizia a Marco, perche’ dentro siamo morti’.


LA MORTE DI MARCO, L’AGONIA E L’ULTIMO VOLO

‘Ho sete. Aiutatemi ragazzi. Ahia, ahia’. Sono le parole di Marco, le ultime che Marina e il papà Valerio sentono quando si precipitano al Pit di Ladispoli, dove il figlio è appena arrivato nella notte tra il 17 e il 18 maggio. ‘Ho pensato- ricorda la mamma- si fosse ripreso’. E invece Marco, mentre l’elicottero lo sta trasportando al Gemelli, va in arresto cardiaco. I suoi genitori sono sulla strada, diretti verso la Capitale, quando ricevono la telefonata che li avvisa di tornare indietro. Il volo si ferma e per sempre anche il cuore di Marco. Marina sviene. Da quando Marco riceve il colpo al soccorso sono passate 2 ore.

Ore di ritardi e telefonate al 118 diventate ormai celebri. La prima di Federico Ciontoli che parla di uno scherzo, di spavento e crisi di panico, a cui si unisce la madre Maria che parla di un bagno in vasca e di un malore. Poi disdicono. La seconda di Antonio Ciontoli che riferisce di un infortunio in vasca, di un forellino procurato da un pettine e di una crisi di panico. E al telefono, alla mamma di Marco, la signora Maria Ciontoli che, quando deve avvisare che il figlio si trova in ospedale, parla addirittura di scale: ‘Marco è caduto dalle scale‘.

‘E quando siamo arrivati al Pit- racconta Marina- era preoccupata perchè il marito, Antonio Ciontoli, sottufficiale di Marina operativo nel Rud (raggruppamento unita’ difesa), a causa di quello che stava accadendo rischiava il posto di lavoro’.

Antonio, Maria, i genitori Ciontoli, Martina, la fidanzata di Marco, Federico il figlio maschio e la sua fidanzata Viola tutti presenti nella villetta di via Alcide de Gasperi si uniscono nel ‘giallo’ del colpo di pistola e nei dubbi che lasciano quelle telefonate al 118. Un’attesa che nella pancia di Marco produce 3 litri di sangue e uno shock fatale da emorragia. ‘Così ora- dice la madre- non può più parlare. La verità in quella casa la conoscono solo loro‘.

La storia del processo, come infatti spiega Marina Conte alla Dire, non è esattamente tutta la storia dell’omicidio di Marco. ‘Noi in processo in Corte d’Assise a Roma ci stiamo per il dopo, ovvero da quando è partito il colpo d’arma da fuoco. Noi a Roma ci siamo per l’omicidio volontario con dolo eventuale per il Ciontoli e per concorso nello stesso capo d’accusa per il resto della famiglia. Secondo me– non usa mezzi termini Marina Conte- bisognerebbe rivalutare il prima. Per il pm è stato un incidente, ma quella pistola era difettosa e non poteva sparare se non era stata scarrellata. E infatti le versioni date da Antonio Ciontoli- ricorda Marina- sono state due. Nella prima dice di essere entrato nel bagno mentre Marco si lavava, per mettere in protezione le due armi in previsione di andare al Poligono il giorno successivo’.

Una tesi impossibile secondo la mamma di Marco. Marco nudo in una vasca con il suocero davanti? ‘No, non è possibile. Soltanto Martina, solo lei Marco faceva entrare nel bagno’. La versione di Antonio Ciontoli in un secondo momento cambia.

‘Quando viene accertato che la pistola era difettosa e il pm lo comunica il Ciontoli dopo mezz’ora- continua Marina- dà una nuova versione, sostenendo che dopo essere entrato nel bagno aveva puntato la pistola per gioco.

In primo grado il pm aveva chiesto 21 anni per Ciontoli, gliene hanno dati 14, nella sentenza del 18 aprile 2018, perchè hanno riconosciuto le attenuanti. Quali attenuanti?- si domanda Marina- non ha collaborato, ha detto bugie e l’ha lasciato morire. Io mi auguro, come ha chiesto il procuratore generale, che sia condannata tutta la famiglia. Forse una speranza di sapere la verità ce l’ho se vanno in galera e mio figlio potrà riposare in pace’.

Colpisce, nelle intercettazioni, la figura di Martina Ciontoli e l’assenza di un solo frammento di dolore per la morte di quello che era il suo fidanzato da tre anni. ‘Non so più definirla Martina Ciontoli’ dice la mamma di Marco. ‘E’ lei che si è lasciata identificare come un mostro: dalle intercettazioni ambientali, quando Marco era morto solo da poche ore, e lei si preoccupava del suo prossimo esame o rincuorava il padre rassicurandolo che avrebbero superato anche questa. Non siamo noi che la facciamo passare per un mostro’.

Il 29 gennaio ci sarà la sentenza di appello. ‘Dall’appello- si augura Marina- mi aspetto la giustizia giusta’. La definisce così e più di una volta. ‘Sono una cittadina italiana e voglio essere tutelata. Mi auguro che i giudici tengano conto di tutto. Delle chiamate al 118 e del fatto che Marco poteva essere salvato‘.

‘Martina era la figlia femmina che non avevamo avuto. La famiglia Ciontoli invece a me non piaceva se devo essere sincera- ammette Marina- ma non ho mai pensato che potessero restituirmi mio figlio cadavere. Era una famiglia che curava molto la propria immagine, noi invece siamo sempre state persone semplici’. 

L’APPELLO ALLE MADRI CORAGGIO

Alle madri e alle donne che vivono esperienze come la sua Marina lancia un appello: ‘Non bisogna mai mollare. Perchè dentro un aula di Tribunale c’è scritto che la legge è uguale per tutti e deve essere così. Sempre’.

UN FIGLIO

’20 anni con Marco sono stati meravigliosi. Ma pochi, troppo pochi. Ancora non so quale sia il fiore preferito di Marco‘. E tanto altro ancora. ‘Casalinga, non ho avuto Marco giovanissima per i canoni del tempo. Mi sono dedicata totalmente a lui, eravamo una cosa sola. Avevo tanto desiderato questo figlio. Quando è nato è stato il giorno più bello. Lo chiamavo principe’.

Nella casa di Marco, semplice, elegante, curata ci sono la sua macchina rossa che ora usa papà Valerio, il cane bassotto in giardino, due nonne e due genitori che non si arrendono. Sembra che tutto stia aspettando il suo ritorno, da un momento all’altro. Tanta gente viene anche da fuori a visitare la sua tomba. ’20 anni sono pochi- ripete Marina ancora una volta- per una mamma e per un figlio che aveva appena iniziato tutto, anche ad avere sogni. Il più grande era il volo.

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