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I bambini-schiavi e l’Occidente che chiude gli occhi (e consuma)

di Barbara Varchetta,  (Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali) Da un recente rapporto dell’International Labour Office, supportato dalle stime

Pubblicato:22-01-2016 13:38
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 21:49

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di Barbara Varchetta (Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali)

Da un recente rapporto dell’International Labour Office, supportato dalle stime di altre organizzazioni internazionali che si occupano della tutela dei diritti fondamentali, si evince come oltre 200 milioni di minori di età compresa tra i 5 e i 17 anni siano impiegati, nelle più varie zone del mondo ma principalmente in Asia ed Africa, in attività di lavoro in ogni settore produttivo, in spregio ad ogni normativa a tutela dei diritti dell’infanzia, contro qualsiasi forma di protezione riservata ai lavoratori (garanzie ormai da tempo consolidate in quello che viene definito il mondo civilizzato), in barba al sostegno all’alfabetizzazione nelle zone economicamente più depresse, calpestando persino il primario diritto alla salute.

E se il fenomeno ci appare lontano tanto da consentirci un’autoassoluzione, i dati degli ultimi anni confermano che sono proprio le multinazionali più note al mondo (non soltanto per la fama progressivamente acquisita dai loro prodotti di punta ma anche per i fatturati miliardari ed i compensi stratosferici riservati ai vertici aziendali) ad essere la causa dell’incremento del fenomeno! Quasi tutti i beni di lusso nonché quelli legati alla cosiddetta società del benessere sono prodotti in Paesi nei quali non esiste una legislazione a tutela dei lavoratori adulti, men che meno dei minori: accade pertanto che un bambino di appena sei anni, la cui routine quotidiana in un “Paese civile” ci è ben nota ( la scuola, i giochi con i coetanei, lo sport che più gli è congeniale nel rispetto delle sue attitudini, l’affetto dei genitori, la libertà….) sia costretto a condurre una vita da schiavo, impegnato in turni di lavoro che superano le dieci ore al giorno, ridotto nella condizione di non poter neanche sperare che la sua vita prenda un’altra direzione… Tale opzione non è contemplata: le esperienze di tutti coloro che gli vivono intorno non insegnano certamente che possa compiersi un riscatto sociale e che possano facilmente affermarsi criteri di giustizia, legalità, tutela ampia dei diritti umani.


Una vita senza prospettive, ecco cosa garantiamo a 200 milioni di bambini mentre viviamo nel nostro mondo dorato ed andiamo fieri del nostro ultimo acquisto (a qualsiasi settore esso afferisca) dietro al quale si celano soltanto sfruttamento, dolore, lacrime, distruzione!

E’ interessante rilevare come, negli ultimi vent’anni, siano nate molte organizzazioni che si occupano del tema e come, di contro, né queste né la Comunità Internazionale siano riuscite nell’intento di porre in essere soluzioni incisive atte a sradicare il fenomeno.

Non è dato sapere (ma l’intuito ci corre in aiuto) il motivo per il quale ogni Paese democratico non vieti la commercializzazione di prodotti provenienti da zone del mondo in cui lo sfruttamento minorile è la regola…Non si può accettare che non si proceda a verifiche costanti nelle sedi di migliaia di aziende che delocalizzano la loro attività in zone così povere, in cui l’affermazione di un diritto è un’eccezione configurandosi come evento sporadico e casuale.

Non appaia, questa, una questione incentrata su ragioni di coscienza e sentimentalismi: la violazione dei diritti dei minori ed il connesso sfruttamento, che è soltanto uno dei risvolti conseguenti alla mancata tutela giuridica, è prima di tutto una questione normativa.

L’emanazione di leggi efficaci e ben scritte che guardino alle situazioni reali ed attuali nonché la loro corretta applicazione, che presuppone un sistema di controlli serrati e diffusi, consentirebbero non soltanto l’affermazione della dignità umana ma la “resurrezione” civile ed economica di quei Paesi dimenticati e mortificati dall’arroganza del resto del mondo.

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