NEWS:

L’Università di Bologna va in missione in Tibet per studiare il dna degli sherpa

Nello studio coinvolte anche l'Università di Chicago e l'Istituto tedesco Max Planck

Pubblicato:28-11-2017 18:25
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:56

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

BOLOGNA – Un gruppo di ricercatori dell’Alma Mater di Bologna si è inerpicato sui monti dell’Himalaya per analizzare per la prima volta il profilo genetico degli sherpa. Dal Dna della comunità che vive sulle pendici tibetane e nepalesi, infatti, si nasconderebbe il segreto per resistere e adattarsi alla scarsa disponibilità di ossigeno ad alta quota. Lo studio, condotto dal laboratorio di antropologia molecolare del dipartimento di Scienze biologiche dell’Alma Mater di Bologna, è stato da poco pubblicato su Scientific Reports e ha visto la collaborazione, tra gli altri, dell’Università di Chicago e del Max Planck Institute. I campioni biologici sono stati raccolti nel corso di una serie di spedizioni scientifico-umanitarie sull’Himalaya organizzate dall’associazione no profit Explora Nuunat international.

FARI PUNTATI SU TAMANG E SHERPA

Per la prima volta, dunque, il gruppo di ricerca dell’Alma Mater ha studiato i profili genomici degli abitanti della remota valle nepalese della Rolwaling, al confine con il Tibet. E’ stato così analizzato il Dna di individui delle comunità Tamang di media quota, che vivono a circa 2.000 metri di altitudine, e delle comunità Sherpa di alta quota, insediate in villaggi a più di 3.600 metri. I dati sono stati poi confrontati con un ampio campione di soggetti rappresentativi di svariati gruppi etnici asiatici. L’obiettivo dello studio era ricostruirne la storia biologica e demografica di queste popolazioni e i risultati hanno rivelato che proprio gli sherpa sono i candidati ideali per svelare come l’uomo sia stato capace di adattarsi alla cosiddetta ipossia ipobarica, ovvero la riduzione della disponibilità di ossigeno ad alta quota.


I POPOLI TIBETO-BIRMANI

“Parliamo di un gruppo molto eterogeneo di popolazioni- spiega il ricercatore dell’Ateneo di Bologna Marco Sazzini, coordinatore dello studio– che dalla Cina sono giunte fino alla Birmania, al Bhutan, all’India e al Nepal, diffondendosi così anche lungo il versante meridionale della catena himalaiana”. Dal punto di vista linguistico, questi popoli sono identificati come tibeto-birmani, ma finora di loro si sapeva ben poco. “Si pensa che abbiano avuto origine da un’antica popolazione migrata verso sud dalla Cina occidentale, durante il Neolitico- continua Sazzini- esistono alcune evidenze archeologiche e linguistiche che supportano questa teoria, ma l’ancestralità biologica di questi popoli fino ad oggi non era ancora stata chiarita”.

I POPOLI A BASSA E MEDIA QUOTA SI SONO ‘MESCOLATI’ AD ALTRE POPOLAZIONI

Proprio la differenza di quota dei diversi villaggi sembra essere la chiave per decifrare i contatti tra popolazioni e i processi demografici avvenuti in quest’area. “Gli antenati dei Tamang e della maggior parte degli odierni gruppi tibeto-birmani di bassa quota- spiega il dottorando Guido Alberto Gnecchi Ruscone, primo autore dello studio- sono andati incontro a molteplici mescolamenti con altre popolazioni, prima della Cina e poi del subcontinente indiano. Al contrario, gli antenati degli odierni tibetani e degli sherpa si sarebbero spostati a quote sempre maggiori addentrandosi nel cuore dell’altopiano del Tibet, rimanendo via via sempre più isolati“. Anche tra questi popoli di alta montagna, però, ci sono differenze.

MA GLI SHERPA SONO RIMASTI UN GRUPPO ISOLATO

“I gruppi tibetani che tuttora risiedono ad alta quota sul versante settentrionale dell’Himalaya- continua Gnecchi Ruscone- hanno comunque mantenuto un certo livello di scambio genico con popolazioni est asiatiche di bassa quota. Gli sherpa migrati sul versante himalayano meridionale nella Rolwaling Valley, invece, non presentano tracce di questo mescolamento”. Si tratta dunque di un popolo che vive oltre i 3.600 metri di quota e che si è sottratto a migrazioni e intrecci con altre comunità. Proprio per questo, gli sherpa sono i soggetti ideali per studiare l’adattamento umano alla mancanza di ossigeno. “Stiamo sequenziando l’intero genoma di questi individui- spiega Sazzini- per identificarne con precisione le regioni modellate dalla selezione naturale in risposta alle pressioni ambientali dovute all’alta quota. In questo modo potremo capire quali varianti genetiche hanno permesso l’evoluzione di un adattamento permanente di queste popolazioni all’ipossia, fornendo così indicazioni utili anche in ambito biomedico per la comprensione delle risposte fisiologiche e cellulari del nostro organismo alla carenza di ossigeno”.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it