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Migranti, Loprete (Oim Niger): “Basta respingimenti nel deserto”

Intervista a Giuseppe Loprete, direttore dell'Ufficio dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) in Niger

Pubblicato:21-05-2018 14:56
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:55

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ROMA – “Non si possono respingere i migranti nel deserto: è chiaro che sul tema ogni Paese, ogni unione regionale – che sia Ue, Unione Africana o Ecowas, la Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale – ha le sue responsabilità da assumersi, altrimenti ci rimetteremo tutti, in termini di vite umane, ma anche di sviluppo e stabilità. Il modello delle migrazioni deve cambiare“. Ne è convinto Giuseppe Loprete, direttore dell’Ufficio dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) in Niger. L’agenzia ‘Dire’ lo ha contattato dopo che l’Onu ha denunciato l’Algeria per i “respingimenti sistematici” di migranti subsahariani privi di documenti fuori dalle proprie frontiere, oltre le quali ad attenderli spesso c’è solo il deserto. E’ di stamani la notizia data dalla stampa algerina di una donna di 30 anni morta quando il camion su cui viaggiava aveva raggiunto Agadez. “Faceva parte dell’ultimo gruppo di 264 migranti respinti dall’Algeria”, riferiscono i media.

“Non si conoscono le cause del decesso, ma alcuni puntano il dito contro le cattive condizioni del trasporto: le temperature avevano raggiunto i 50 gradi“. Un’emergenza che lo staff Oim si trova a gestire quasi quotidianamente. Oltre a portare fuori i migranti dalla Libia, dai “terribili centri di detenzione”, l’Organizzazione soccorre e accoglie in Niger anche i gruppi di migranti respinti dalle autorità algerine. “Da dicembre 2014 ad oggi Algeri ne ha respinto 31mila, 9mila da settembre” dice Loprete. Il momento più difficile il 30 aprile quando, ricorda il dirigente, “ne abbiamo soccorsi in un solo giorno 1.500“. Tra questi, anche tante donne e minori non accompagnati, di cui “la stragrande maggioranza è denutrito e traumatizzato per le violenze subite durante il viaggio”.

Si tratta di irregolari provenienti dal Niger, dai Paesi dell’Africa occidentale, ma anche di migranti che arrivano in Algeria dalla Libia, “un Paese profondamente insicuro per i migranti“, avverte Loprete. Una situazione che “non può continuare”. “Non solo Algeri, ma tutti i Paesi africani devono intervenire. Spendere tutto ciò che si ha per pagare i trafficanti, per poi morire nel deserto o nel Mediterraneo, oppure arrivare in Algeria, in Libia o in Europa e vivere in povertà non porta vantaggio a nessuno. E anche se i migranti riescono a trovare lavoro, è molto raro che il denaro che inviano a casa basti anche per innescare attività che creano profitto, oltre a rispondere alle necessità della famiglia”. Insomma, oltre la crisi umanitaria, la fatica di queste persone “non genera sviluppo economico né nel Paese d’origine, né il quello d’accoglienza”. Secondo Loprete, allora, è urgente ripensare il paradigma: “Si potrebbero attivare, ad esempio, programmi di scambio rivolti a coloro che posseggono determinate competenze, in modo da rendere i flussi gestibili e fruttuosi per ambo le parti. Sono azioni complesse, che richiedono un lungo lavoro di dialogo. Ma l’alternativa è lasciare queste persone in mano a trafficanti e a reti criminali che grazie a questa situazione si arricchiscono e rafforzano sempre di più”.


Importante infine dotare tutti di regolari documenti. “In Niger solo il 7 per cento della popolazione li possiede” sottolinea Loprete. “Nell’area dell’Ecowas vige un regime di libera circolazione, per cui i migranti non si preoccupano di ottenerli. Una volta raggiunta l’Algeria però, incontrano controlli più severi: Algeri teme le infiltrazioni terroriste”.

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