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Dalle Br al buon pane per tutti, la rivoluzione di Piunti

[video mp4="http://www.dire.it/wp-content/uploads/2017/04/Piunti1.mp4" poster="http://www.dire.it/wp-content/uploads/2017/04/20170420_132258-1.jpg"][/video] ROMA - "Ho dormito per 23 anni in carcere e ho avuto una condanna complessiva

Pubblicato:21-04-2017 13:13
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:08

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ROMA – “Ho dormito per 23 anni in carcere e ho avuto una condanna complessiva di 32 anni. Nel 2001 ho avuto la condizionale e nel 2005 ho finito di scontare completamente la pena. Sembra una follia il fatto che sia tornato in carcere a proporre un lavoro ai detenuti, eppure è stato così”. A parlare con l’agenzia Dire è l’ex brigatista Claudio Piunti, responsabile della panetteria all’interno della Terza casa circondariale di Rebibbia a Roma, uno spazio su due livelli di 225 metri quadrati.

“Tutto è cominciato anni fa con il progetto ‘Libera mensa e il pane dalla terza bottega’– dice Piunti- ma da allora di strada ne abbiamo fatta. E oggi siamo qui, in questa giornata di festa, ad aprire per la prima volta al pubblico ‘La terza bottega – Fine pane mai'”. La bottega di cui parla l’ex Br è in realtà un vero e proprio esercizio commerciale nato tra le mura del carcere. D’ora in poi offrirà agli abitanti del quartiere la possibilità di accorciare la distanza tra la società civile e quella ‘ristretta’, ma soprattutto di degustare prodotti di qualità, tra pane e dolci, preparati dai detenuti.

Daremo un’immagine diversa del carcere, ma allo stesso tempo le persone che verranno ad acquistare prodotti da noi saranno comunque tranquillizzate dal muro di cinta che le separa dai detenuti. Anche se poi chi sono i buoni e i cattivi, questo è tutto da vedere!”, scherza Piunti. Finanziata con i fondi della Cassa delle ammende del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), insieme ai Panifici Lariano e Farchioni Olii, la bottega è in Bartolo Longo 82, praticamente accanto alla porta carraia del penitenziario.




“È il primo punto vendita di questo genere- racconta con una punta di soddisfazione Piunti all’agenzia Dire- nato nel più grande penitenziario d’Europa. Credo non si sia mai vista una cosa del genere. La bottega è in perfetto stile antico, con arredamento in legno, ed è stata costruita abbattendo una parte del muro di cinta del carcere”. Ma come è nata l’idea del nome? “‘Terza bottega’ deriva ovviamente da ‘terza casa’- risponde- quanto a ‘bottega’, ci siamo ispirati ad alcuni film di Totò dove spesso si sentiva dire: ‘Ma dove sta tuo padre?’, ‘Sta a bottega!’, intendendo con questa espressione il carcere“.

I fornai-detenuti che preparano il pane all’interno del carcere al momento sono 9 e hanno turni lavorativi da cinque ore (“io però ne lavoro anche dieci perché sono il responsabile”, tiene a sottolineare con un sorriso Piunti), ma presto dovrebbe iniziare anche una turnazione notturna, mentre l’obiettivo è quello di impiegare almeno due lavoranti nella bottega all’esterno.

“Io non ho soldi, ma idee- racconta l’ex Br, con indosso grembiule e cappello da fornaio- E la mia idea era di mettere a disposizione un lavoro per persone che vivono in carcere. E così è stato: siamo arrivati a produrre anche 10 quintali di pane al giorno, poi è nato questo secondo progetto, più ambizioso, di sviluppare il punto vendita all’esterno”.



Le materie prime utilizzate dai detenuti, che sono in possesso di una qualifica professionale rilasciata dalla Regione Lazio, provengono anche dall’agricoltura biologica, e nel laboratorio del carcere ci sono forni, impastatrici, taglierine e confezionatrici di ultima generazione, per ridurre l’impatto ambientale. “Siamo disposti a lavorare anche per catering esterni- prosegue Piunti- e ci piacerebbe che le persone apprezzassero quello che si fa in carcere. Ai ragazzi che sono ‘dentro’ dico sempre: ‘Prima eravamo ricercati per cose opinabili, adesso facciamoci cercare per le cose buone che siamo in grado di fare'”.

In carcere il tempo passa lentamente e per questo è ancora più importante essere impiegati in una qualche attività. “Dare opportunità di questo tipo ai detenuti- sottolinea l’ex brigatista- è importantissimo, perché una volta uscite dal carcere nel 90% dei casi queste persone sarebbero escluse dal circuito lavorativo della società. In molti, poi, il lavoro non lo conoscono proprio perché nella vita hanno fatto scelte diverse- sorride Piunti- Noi abbiamo due detenuti che conoscono il mestiere perché prima facevano i fornai; ma questo accadeva prima di delinquere, altrimenti non starebbero qua!”.

Claudio Piunti oggi guarda al futuro. Ma con cortesia, anche se brevemente, concede a chi glielo chiede di ritornare al passato. La domanda non è semplice, ma l’ex Br non si sottrae… Dopo tanti anni c’è ancora il sospetto che qualche membro delle Brigate Rosse avesse legami con gli Usa e l’Urss e fosse al soldo delle grandi potenze per destabilizzare il rapporto che stava maturando nel nostro Paese tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. Si è parlato per esempio di Mario Moretti… Che ne pensa lei? “Credo che questa storia sia stata completamente chiarita e risolta da giudici, magistrati e giornalisti. Chi vuole trovare il pelo nell’uovo penso che perda solo tempo… Lei ha nominato Moretti, ma da quanto mi risulta è ancora in carcere, seppur esca di giorno e rientri di sera: come avrebbe fatto a ‘fare cose’ se detenuto?”.

Aggiunge ancora l’ex brigatista: “Penso che questa storia sia ormai chiusa, ma purtroppo non conclusa perché purtroppo molte persone la stanno ancora pagando. Tuttora ci sono persone che continuano ad usare le stesse sigle, ma è tutta un’altra cosa… Oggi stiamo comunque parlando di pane, un altro giorno magari possiamo discutere di questa questione… Ma ripeto: penso non ci sia nulla da chiarire”. Ma quindi lei esclude del tutto questo sospetto? “Sì, per quanto mi riguarda nemmeno ci perdo tempo”, conclude Piunti.

di Carlotta di Santo

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