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Stamina, se ne va da Montecitorio la tenda dei Biviano

Se ne va la tenda di Sandro

Pubblicato:20-06-2015 06:04
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:24

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tenda stamina montecitorioSe ne va la tenda di Sandro e Marco Biviano davanti alla Camera dei deputati. Due anni dopo il loro arrivo nella Capitale, i fratelli simbolo della lotta per la libertà di cura lasciano piazza Montecitorio “117A”, il nome dell’associazione che li ha sorretti fin dal 10 luglio 2013.

Tornano a Lipari, dove saranno assistiti con un progetto di telemedicina 24 ore su 24. Restano però le parole d’ordine, stampate sulle magliette e sugli striscioni: “Non ho più voglia di morire”, “Curarmi non è un reato”, “Per la vita non si molla mai”. E’ vero, c’è ancora chi mostra lo slogan dei primi tempi: “Si’ a stamina”. Ma il nome di Davide Vannoni, il discusso leader della Fondazione Stamina (che ha appena patteggiato 1 anno e 10 mesi), nella giornata degli addii e dei ringraziamenti non viene pronunciato neanche una volta.

Lacrime e abbracci fanno invece da contorno a una breve cerimonia, mentre gli uomini portano via chi il frigorifero, chi la stufa, le prese elettriche di una tenda che, come dice Sandro Biviano, “se si strappasse, uscirebbe sangue”. Quasi mille giorni, li’ sotto per resistere e chiedere ascolto alle istituzioni. Ma oggi del Palazzo, in piazza c’è solo Paola Binetti. A lei il rigraziamento dei Biviano. E alle forze dell’ordine “che hanno vegliato su di noi anche quando dormivamo. Che nei momenti brutti hanno saputo dirci quella parola giusta che risvegliasse il cuore”.


“Siamo italiani, su le mani e combattiamo perché ognuno il suo dolore ce l’ha”, cantano davanti a Montecitorio, poco prima che i Biviano, in lacrime, salutino Roma. “Siamo arrivati due anni fa- conclude Marco- che non sapevamo nemmeno dove si trovasse il ministero della Salute. Era il 10 luglio del 2013. In questa piazza abbiamo sofferto tantissimo, abbiamo gioito e pianto. Sono cose che non dimenticheremo mai. Continueremo a lottare, non ci faremo rubare la speranza. Perché noi vogliamo vivere”.

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