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L’Italia che non fa figli: nascite al minimo storico

Il rapporto Istat fotografa un Paese in cui i figli lasciano le famiglie sempre più tardi, si sposano di meno e fanno sempre meno figli

Pubblicato:20-05-2016 09:50
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:45

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ROMA – Il rapporto annuale dell’Istat fotografa un Paese in cui i figli lasciano le famiglie sempre più tardi, si sposano di meno e fanno sempre meno figli. Intanto aumentano le famiglie senza reddito da lavoro e la spesa sociale del Paese è inadeguata. E gli immigrati? Quelli di seconda generazione non si sentono italiani.

‘ADULTI’ SEMPRE PIÙ TARDI, NO MATRIMONI E MENO FIGLI – La transizione allo stato di ‘adulto’ si compone di diversi passaggi nel vissuto degli individui: dalla condizione di studente a quella di occupato, dalla famiglia dei genitori alla vita indipendente o di coppia, dallo status di single a quello di coniugato e dall’essere senza figli alla genitorialità. Le generazione dei Millennial (nati tra gli anni ’80-’90) e delle Reti (nati dopo il ’96) stanno posticipando sempre di più queste principali tappe verso la vita adulta. Nel 2015 vive ancora in famiglia il 70,1% dei ragazzi di 25-29 anni e il 54,7% delle coetanee, percentuali in decisa crescita rispetto a venti anni prima (rispettivamente 62,8% e 39,8%). La prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine è dovuta a molteplici fattori, tra cui l’aumento diffuso della scolarizzazione e l’allungamento dei tempi formativi, le difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e la condizione di precarietà, gli ostacoli a trovare un’abitazione.


L’istituto del matrimonio sembra in declino fra le generazioni più recenti. La propensione a sposarsi la prima volta è in forte calo perché l’evento è posticipato verso età più mature: nel 2014 l’età media al primo matrimonio è arrivata a 34,3 anni per gli sposi e a 31,3 per le spose. Particolarmente esplicativo è il caso delle donne che a 30 anni non hanno ancora lasciato la famiglia di origine – oltre 2,7 milioni, rappresentano più dei due terzi delle trentenni – cresciute di 48 mila unità fra il 2008 e il 2014. Nel contempo sono diminuite di circa 41 mila unità le spose alle prime nozze tra 18 e 30 anni. Il numero medio di figli per donna calcolato per generazione continua a decrescere senza soluzione di continuità. L’Inps rileva che si va dai 2,5 figli delle donne nate nei primissimi anni Venti (cioè subito dopo la Grande Guerra), ai 2 figli per donna delle generazioni dell’immediato secondo dopoguerra (anni 1945-49), fino a raggiungere il livello stimato di 1,5 figli per le donne della generazione del 1970. La recente diminuzione della fecondità è in gran parte da attribuire al rinvio delle nascite da parte della Generazione del millennio. La posticipazione riguarda tutte le tappe del ciclo di vita. Ad esempio, è diventata nonna entro il cinquantacinquesimo compleanno il 38,2% delle nate prima del 1940 contro il 30% delle nate nei primi anni Cinquanta. Sul fronte maschile, i nonni entro i 60 anni sono il 38,7% fra i nati prima del 1940 e il 33,1% tra i nati del periodo 1945-49. In media, si diventa nonni a 54,8 anni.

II GENERAZIONE, SOLO 38% GIOVANI SI SENTE ITALIANO –  Le seconde generazioni sono sospese tra diverse culture e appartenenze. Tra i ragazzi stranieri che frequentano le scuole superiori la quota di coloro che si sentono italiani sfiora il 38%, il 33% si sente straniero, mentre il 29% preferisce non rispondere alla domanda. La seconda generazione in senso stretto è quella dei nati da genitori stranieri nel paese di accoglienza. In senso lato raccoglie invece un insieme composito di ragazzi con diverso background migratorio, sia i nati in Italia sia quelli arrivati prima della maggiore età. Dal 1993 al 2014 in Italia sono nati quasi 971 mila bambini appartenenti alla seconda generazione in senso stretto, con una tendenza alla crescita che si è invertita solo negli ultimi due anni. Ai ragazzi nati in Italia, che rappresentano il 72,7% degli stranieri con meno di 18 anni, vanno aggiunti i giovanissimi arrivati insieme ai genitori o per ricongiungimento familiare. Negli anni molti bambini e giovanissimi di origine straniera sono divenuti italiani. Sono sempre di più, infatti, i minori che acquisiscono la cittadinanza italiana per trasmissione dai genitori e coloro che, nati in Italia, scelgono di prendere la cittadinanza italiana al compimento del diciottesimo anno di età. Alcune collettività, come quella romena, sono molto aperte all’interazione con gli italiani e inclini ad assimilare usi e costumi; altre comunità, come quella cinese – più chiuse alla cultura nostrana e alle relazioni con gli italiani – si attestano su modelli di tipo pluralista. In ogni caso per molti ragazzi stranieri l’Italia non è il paese in cui vogliono vivere da grandi, il 46,5% immagina la propria vita da adulto in un altro paese, una percentuale poco sopra a quella rilevata per gli italiani (42,6). Gli atteggiamenti di apertura nei confronti della cultura italiana e le relazioni con amici italiani contribuiscono molto al radicamento sul territorio; va però segnalato che la più elevata propensione a vivere in Italia da grandi si riscontra fra i ragazzi cinesi, nonostante i contatti meno frequenti con gli italiani.

IN 3 ANNI 125 MILA LAVORATORI USCITI E 37 MILA NUOVI –  “Il confronto tra i 15-34enni occupati da non più di 3 anni al primo lavoro e le persone con più di 54 anni andate in pensione negli ultimi 3 anni fa emergere la difficile sostituibilità ‘posto per posto’ di giovani e anziani“. Infatti, “mentre i giovani entrano soprattutto nei servizi privati – 319 mila nei comparti del commercio, alberghi e ristoranti e servizi alle imprese, a fronte dei 130 mila in uscita – in altri settori le uscite non sono rimpiazzate dalle entrate: 125 mila escono da Pubblica amministrazione e istruzione contro 37 mila entrate”.

FAMIGLIE SENZA REDDITI DA LAVORO SALGONO AL 14% – A crescere sono soprattutto le famiglie prive di redditi da lavoro (jobless), che passano da 9,4 a 14,2% mentre si riducono quelle con un unico occupato (da 31,4 a 29,3%) e con due o più occupati (da 45,1% a 37,3). Gli squilibri territoriali sono accentuati. Nel Mezzogiorno, le famiglie jobless salgono al 24,5% (8,2% al Nord e 11,5% al Centro) mentre quelle con un solo occupato, seppur in calo, rimangono la tipologia familiare prevalente e più diffusa rispetto alle altre zone del Paese, soprattutto se l’unico occupato è maschio. Lo rileva il rapporto annuale dell’Istat.

La spesa per protezione sociale ha continuato a crescere in Italia, negli altri paesi del Sud Europa e in Irlanda, ma in maniera molto più contenuta del passato. Tra quelli europei, il sistema di protezione sociale del nostro Paese è uno dei meno efficaci. Nel 2014 la quota di persone a rischio povertà si è ridotta di 5,3 punti dopo i trasferimenti (da 24,7 a 19,4%) a fronte di una riduzione media nell’Ue27 di 8,9 punti.

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