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Raccontare il dolore, giornalista come il Buon Samaritano

L'immagine e' suggerita da Don Ivan Maffeis, Sottosegretario della Conferenza episcopale italiana: la figura biblica del viaggiatore che si ferma a soccorrere il bisognoso

Pubblicato:20-04-2016 15:52
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:36

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caritas


ROMA  – “Il giornalista come il buon Samaritano”. Questo emerge oggi dalla tavola rotonda sul tema ‘Comunicare la Misericordia’, nella terza giornata dei lavori del 38esimo Convegno nazionale delle Caritas diocesane, a Sacrofano.

L’immagine e’ suggerita da Don Ivan Maffeis, Sottosegretario della Conferenza episcopale italiana: la figura biblica del viaggiatore che si ferma a soccorrere il bisognoso.


“I giornalisti di un tempo, per trovare le notizie, si consumavano le scarpe sulla strada, oggi si consumano gli occhi davanti ai monitor dei computer” dice Maffeis, ricordando quindi l’esortazione di Papa Francesco a tornare nelle strade, ormai sempre piu’ ignorate per le ragioni piu’ varie – pigrizia, indifferenza, intolleranza – per dare un racconto sempre piu’ vero della realta’, dei suoi protagonisti e dei loro bisogni.

Nel recupero di questo modus operandi per Marco Giudici, vicedirettore di Raidue, consiste il legame tra comunicazione e misericordia: la comunicazione perde la sua valenza di ‘marketing’ – “dire per vendere a tutti i costi qualcosa” – quando offre un fatto “anticonformista, radicale, che spazza via gli stereotipi”. E Giudici porta quindi un esempio: il racconto dei giorni precedenti del viaggio del Pontefice in Grecia, che ha portato con se’ 12 rifugiati. “Porre l’accento sul concetto di salvataggio” che offre un’alternativa “alla visione di disperazione” che si associa usualmente al tema migranti “e’ un gesto anticonformista”, dichiara. La giustizia sociale inoltre – cosi’ ricordata – e’ suggerita tramite un moto delle emozioni che “non appartiene solo al mondo cattolico, ma a tutti”, conclude.

“Arrivare alla verita’ e’ faticoso ma soprattutto scomodo”. Lo spiega Nicola Perrone, direttore dell’Agenzia di stampa Dire e giornalista di lungo corso intervenuto alla terza giornata del 38esimo Convegno delle Caritas diocesane, confermando la formula espressa dai relatori precedenti: “Non si puo’ essere giornalisti senza passare molto vicino alle cose”, e per comunicare “bisogna mettere in condivisione quel fatto – la notizia – con tutti”. Il giornalista pero’ “viene oggi percepito come distante- aggiunge Perrone- come ‘servo del potere’ piuttosto che dei cittadini”. Ma grazie ai professionisti giovani o appassionati “e’ ancora possibile raccontare storie vere alle persone”. Ma la verita’, osserva ancora, spesso fa scattare il conflitto, “e il conflitto genera la paura che pero’- sottolinea- e’ assolutamente necessario superare”. Lucia Capuzzi, giornalista di Avvenire ed esperta di America latina, si interroga invece sul senso del ‘vedere’ come azione che sollecita la partecipazione, e su come il giornalismo puo’ mostrare un fatto innescando realmente la partecipazione del suo pubblico. Porta allora a titolo di esempio un fenomeno che si verifica nelle citta’ latino americane: la poverta’, che a volte “e’ feroce”, non si fa vedere. E spiega che le bidonvilles sono localizzate in modo che non si vedano, cosi’ come i quartieri ricchi sono chiusi e separati, “lontani dalla quotidianita’ della poveta”‘. Oppure al contrario, c’e’ una sovraesposizione dei problemi al punto che le persone non ci fanno piu’ caso, “come i tossicodipendenti che invadono le strade e la gente passa senza piu’ notarli”.

Allora, spiega Capuzzi, bisogna saper mostrare nel modo corretto affinche’ “vedere diventi un atto che muova il senso di responsabilita’ e di partecipazione” da parte dei lettori. Anche Vincenzo Morgante, direttore della testata giornalistica regionale della Rai, torna sul concetto del ‘vedere’ come azione che porta alla compassione, “che ci costringe a soffrire con coloro di cui raccontiamo la storia”. E solo esprimendo “attenzione e comunione del soggetto di cui ci si occupa – ricordando che dietro ai fatti ci sono delle persone vere – si riesce a fare bene il proprio mestiere”. Infine Dario Quarta, giornalista e autore dell’emittente TV2000, sottolinea che, per comunicare la misericordia bisogna essere in pimis misericordiosi verso i lettori o, come nel suo caso, i telespettatori, “incontrando tutti nelle loro fatiche quotidiane, come ha esortato a fare Papa Bergoglio. La sfida poi- dice ancora il giornalista- consiste nel differenziare la proposta, raccontando la Buona novella del Vangelo anche ai non credenti” per trovare “parole comuni alla costruzione del bene comune”. Accanto alla responsabilita’ di raccontare la verita’ c’e’ anche quella legata al “tutelare l’incolumita’ delle fonti – nel momento in cui il fatto di condividere la propria storia li espone a un rischio – e la loro dignita’ di esseri umani”, come conclude Capuzzi.

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