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VIDEO | La terza classe, il ponte folk che lega Napoli a Nashville

https://youtu.be/EeX8sWau86sNAPOLI - 8271,85 chilometri. È questa la distanza in linea d’aria che divide Napoli da Nashville. Come la città all’ombra

Pubblicato:19-12-2018 16:30
Ultimo aggiornamento:19-12-2018 16:30

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https://youtu.be/EeX8sWau86s

NAPOLI – 8271,85 chilometri. È questa la distanza in linea d’aria che divide Napoli da Nashville. Come la città all’ombra del Vesuvio, anche la capitale del Tennessee è soprannominata “città della musica” perché sede del Grand Ole Opry, famoso programma radiofonico di musica country, della Country Music Hall of Fame, di molte case discografiche ed è proprio lì che nascono chitarre e bassi elettrici Gibson. Napoli e Nashville sono luoghi lontanissimi fra loro, e non solo musicalmente, avvicinati da un ponte di note folk de La Terza Classe.

Nata nel 2012 la formazione partenopea, armata di strumenti inusuali per degli artisti da strada come il contrabasso, il banjo e il violino, ha suscitato curiosità e ammirazione proponendo, ad un pubblico “melodico” nelle piazze di Napoli, dal bluegrass al dixieland all’early jazz, sonorità tipiche degli Stati del Sud a stelle e strisce. Suoni che sin da subito hanno caratterizzato La Terza Classe, l’hanno resa riconoscibile anche ai più che non sono cresciuti con Nashville, capolavoro cinematografico di Robert Altman del 1976 che ha nel titolo il nome della capitale del country americano, o con le performance di Johnny Cash, Skeeter Davis, Sonny James, Kris Kristofferson o Dolly Parton, solo per citare alcune delle stelle del firmamento folk statunitense.


Dopo anni di cover, serate live in diversi club e tournée in giro per l’Italia e l’Europa, dalla Francia al Belgio all’Olanda ma soprattutto dopo i tour statunitensi del 2014, 2015, 2016 e 2017, è arrivato per La Terza Classe il primo vero album, un disco omonimo con cinque tracce inedite.

“È stato un processo molto naturale – confessa alla Dire Pierpaolo Provenzano, voce e chitarra del gruppo -. Dopo aver suonato per tanti anni insieme e con altri musicisti importanti del genere folk internazionale volevamo mettere a frutto tutte le nozioni e le esperienze acquisite per un qualcosa che avevamo dentro di noi e volevamo esprimere. È stato – sottolinea – un processo nuovo per la band che ha creato, in questo modo, le basi per continuare ancora tanti anni con il progetto di far coincidere il mondo moderno con quello che è stato il passato della musica folk anglofona”. 


In barba alle mode imperanti che vedono la cultura hip hop, dal rap alla trap, invadere e contaminare i diversi generi musicali, anche quelli autoctonoti della città del bel canto, La Terza Classe continua nel suo viaggio alle radici della “popular music”, rivisitandola e attualizzandola. Un esperimento riuscito visto il successo riscosso negli Stati Uniti. Per noi, spiega Rolando ‘Gallo’ Maraviglia, voce e contrabbasso, “è stato spontaneo andare in America. Il segreto di riuscire a suonare negli States ed essere tanto apprezzati è proprio questa spontaneità: apprezzano davvero tanto che qualcuno dall’Europa suoni la loro musica. Questo, in qualche maniera, li inorgoglisce. Prima ci chiamavano ‘The Italians’ adesso si impegnano a chiamarci ‘La Terza Classe’ perché ci stiamo affermando in quel contesto. Tutto questo è bello, è divertente e ci rende felici”.

Il segreto di tanta naturalezza lo spiega Enrico Catanzariti, voce e percussioni della band. “Suonavamo questa musica ancor prima di avere coscienza di quello che era”. La scoperta delle grandi star americane e anglofone è arrivata dopo. “Quando siamo partiti per il primo viaggio negli Stati Uniti – ricorda Enrico – eravamo più che sei componenti di una band. Eravamo un misto tra un gruppo musicale e un gruppo di amici in vacanza a Scalea“.

Il successo americano, testimoniato dalla partecipazione a programmi radiofonici specializzati (uno di questi a Radio WDVX a Knoxville, all’interno del celebre palinsesto del Blue Plate Special), dai palcoscenici calcati da New York a Nashiville, da Atlanta a St. Louis, da Austin a Woodstock, dalle collaborazioni spontanee con artisti del calibro di Jim Lauderdale, “per noi un vero e proprio mito”, è stato aiutato anche dall’essere napoletani perché, prosegue Catanzariti “venire da una città dove la vita è un po’ difficile, dove uno si deve conquistare con un po’ più di forza i traguardi quotidiani ci ha aiutato negli Stati Uniti nei momenti difficili quando dovevamo avvicinare persone o menarci a suonare in situazioni improvvisate o dalle aspettative un po’ più alte. I napoletani hanno, insomma, una carta in più da giocarsi in materia di spavalderia e di coraggio”.

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