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In Lombardia un voto elettronico per dire autonomia – GUIDA AL REFERENDUM

Domenica 22 i cittadini lombardi dovranno esprimersi sulla richiesta di una maggiore autonomia da Roma

Pubblicato:19-10-2017 08:20
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:48

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MILANO – “Intraprendere le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse”, questo “in considerazione della sua socialità e nel quadro dell’unità nazionale”. La Lombardia conta i  giorni che la separano dal voto referendario del 22 ottobre, in cui i 10 milioni di cittadini sceglieranno se dare mandato al proprio governatore, il leghista Roberto Maroni, di andare a trattare con il Governo di Roma al fine di ottenere maggiore autonomia regionale, ma soprattutto la metà (27 miliardi) del residuo fiscale lombardo (“che ammonta a 54 miliardi di euro”, dice il presidente lombardo). Il residuo fiscale non è altro che la differenza tra le tasse pagate dai cittadini di un dato territorio allo stato centrale e ciò che lo stato centrale trasferisce in termini di investimenti nello stesso territorio.

24.000 TABLET E NIENTE QUORUM

La principale novità che distingue la consultazione indetta dalla Lombardia da quella veneta è costituita dallo strumento del voto elettronico, che sarà possibile grazie ai 24.000 tablet acquistati dalla Regione Lombardia e dislocati nei circa 8.000 seggi (aperti dalle 7 alle 22), a un costo complessivo di 24 milioni di euro, cifra più cifra meno. Il secondo importante distinguo che separa (seppur solo nelle modalità) il referendum lombardo da quello veneto è l’assenza di quorum, che quindi non sarà un paletto per l’esito della consultazione.
Le operazioni di voto saranno semplici, non serviranno schede elettorali (se non per individuare il proprio seggio), ma sarà sufficiente un documento d’identità. Dopodiché, lo schermo del tablet riprodurrà il quesito con le tre opzioni (Sì, No, Scheda Bianca) e ci sarà per ogni elettore l’opportunità di correggere il voto, una volta sola. “Niente carta, niente matite copiative, che spero andranno in archivio per sempre”, ama ripetere il governatore Maroni, che con la firma del decreto regionale lo scorso 24 luglio, ha dato ufficialmente il via libera al referendum sull’autonomia.

IL PRE-SI’ DEL M5S E IL RUOLO DI SILVIO

Fondamentale l’adesione del M5s, favorevole al referendum in quanto sostenitore di ogni volontà popolare: “Ci sono partiti che considerano uno spreco il referendum mentre considerano un costo della democrazia incassare centinaia di milioni di euro di rimborsi elettorali bocciati da un referendum e stipendi d’oro e vitalizi- queste le parole del consigliere M5S a Palazzo Pirelli Dario Violi- poi ci siamo noi che rinunciamo ai rimborsi e restituiamo parte degli stipendi. Mi auguro che si inizi a parlare dei contenuti del referendum, perché l’autonomia è una cosa seria e sui temi seri i cittadini vanno informati e consultati“. Mentre però il M5s guarda con interesse ai moti indipendentisti catalani e rifiuta di partecipare alle iniziative di informazione della maggioranza, il presidente lombardo si spende per demarcare le differenze tra il referendum del 22 ottobre e il voto catalano, spiegando che “la Catalogna col voto va contro la Costituzione, noi con il nostro voto vorremmo applicarla dopo 16 anni”.
Il riferimento è al 2001 e a quella riforma pseudo-federalista voluta dal governo Berlusconi e poi abortita dai governi di centrosinistra. Un Silvio Berlusconi sceso direttamente in campo per sostenere l’iniziativa referendaria, tanto da invocare nuovamente il federalismo come ricetta “contro il centralismo delle sinistre”, e da proporre il voto elettronico (che in Lombardia è stato introdotto da una proposta della rappresentanza grillina in Consiglio regionale), a mo’ di antidoto contro “i maestri dei brogli”, come il presidente ‘ama’ definire il centrosinistra.

IL PD

Il Pd regionale ha sofferto e sta soffrendo non poco lo strappo di intenti tra la linea del partito nazionale, profondamente avverso al referendum, e la realtà locale, dove molti sindaci a targa dem si sono dimostrati non solo favorevoli ma quasi entusiasti per una prospettiva più autonoma, fondando comitati per il Sì che mettono in non poco imbarazzo i vertici del centrosinistra regionale, e nazionale.

FRATELLI D’ITALIA, MA DIVISI

Le anomalie tra linee nazionali e linee locali non riguardano però solo la sinistra: anche a destra ci sono stati piccoli momenti di impasse, con Fratelli d’Italia che nella sua declinazione lombarda offre il pieno appoggio alla causa autonomista, confermando il sodalizio con la maggioranza in Regione (con cui Fdi amministra, annoverando anche un assessore al Territorio, Viviana Beccalossi), mentre sul piano nazionale ha espresso qualche tentennamento da parte della propria leader, Giorgia Meloni, che con i suoi inviti all’astensione ha rischiato di far saltare il banco a FdI lombardo. La crisi ora appare rientrata, d’altronde in una delle sue ultime uscite Maroni, dopo aver reagito duramente qualche giorno fa, facendo immaginare una rottura Lega-FdI a seguito delle posizioni di Meloni, ha giustificato la leader FdI dicendo che “probabilmente non aveva letto la parte del quesito in cui si specifica che le azioni andranno ad attuarsi nel quadro dell’unità nazionale– ha  detto il governatore- una voce aggiunta proprio per volere di Fratelli d’Italia”. Referendum dunque non personalizzato.

MARONI: “NON E’ IL MIO REFERENDUM”

Non è il referendum di Maroni, è il referendum di tutti. Personalizzarlo sarebbe un errore, tra l’altro già commesso da qualcun altro”, è il mantra di Maroni, per cui questa nuova modalità, in caso di vittoria del Sì, stravolgerebbe nel profondo i rapporti tra il governo centrale e le altre regioni, che a detta del presidente lombardo “non dovranno passare da Roma e potranno avere un rapporto diretto”. Per Maroni dunque, questo “non è un referendum contro le altre regioni“, tanto meno quelle del sud, per cui a detta del governatore “il Sì può anzi aprire nuove prospettive”, con un rapporto diretto e con maggiore controllo di risorse. Intanto però, la spesa totale per la consultazione, che per alcuni sfiora i 50 milioni di euro, ha sollevato non poche polemiche: “Non si tratta di spesa ma di un investimento”, si è spesso affrettato a chiarire il governatore, facendo l’esempio dei tablet che “a fine voto verranno dati in dotazione alle scuole come strumenti didattici“.
di Nicola Mente, giornalista

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