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All’Ucciardone di Palermo nascono le cooperative agricole per il reinserimento dei 350 detenuti

Si lavora per la nascita di cooperative agricole di detenuti che una volta fuori potranno lavorare. La direttrice, Rita Barbera: "La creazione di misure alternative fuori e dentro il carcere e' un obiettivo principe"

Pubblicato:19-10-2015 14:22
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:39

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CarcerePALERMO – Sono 350 i reclusi italiani e stranieri presenti attualmente nel carcere Ucciardone, uno dei piu’ antichi d’Italia. Un numero di detenuti che, non appena verra’ completata la ristrutturazione delle altre due sezioni, raggiungera’, secondo i limiti europei previsti, un massimo di 6oo. In cantiere tra i progetti di reinserimento sociale c’e’ la realizzazione di alcune cooperative agricole e di trasformazione dei prodotti coltivali dentro il carcere. A renderlo noto e’ la direttrice della casa circondariale Rita Barbera intervenuta presso l’aula magna del tribunale di Palermo all’interno del seminario formativo per giornalisti e avvocati promosso dall’Aiga.

“Nonostante il sistema carcerario italiano cosi’ com’ e’ organizzato risulti fallimentare – dice la direttrice Barbera, alla guida dell’istituto di pena da 4 anni e mezzo -, dobbiamo lo stesso pero’ sforzarci continuamente di favorire tutte le iniziative finalizzate a garantire una maggiore dignita’ umana alla detenzione“. “Il primo dei problemi e’ che il carcere e’ ancora riservato a troppe persone quando invece a molti andrebbero riconosciute misure alternative. Ho avuto detenuti che per contraffazione di cd hanno preso 8 anni che se ci pensiamo sono tantissimi e possono incidere fortemente sulla persona. Il carcere andrebbe riconosciuto solo a chi si e’ macchiato di reati gravi”.

“Quello che, soprattutto, molti detenuti chiedono e’ la giusta attenzione per sentirsi utili dentro e poi fuori dal carcere. La creazione di misure alternative al carcere e’ un obiettivo principe. Un altro aspetto importante e’, infatti, che dobbiamo pensare a progetti che iniziano in carcere ma che vengono inquadrati nella prospettiva di un inclusione lavorativa futura della persona. Tante possono essere le attivita’ e le forme di impegno che possono dare un senso alla detenzione. Attualmente con il Centro Padre Nostro abbiamo un detenuto che cura il verde pubblico fuori dal carcere, poi stiamo cercando di realizzare alcune cooperative di tipo agricolo ma anche di trasformazione dei prodotti coltivati all’interno del carcere che poi potranno svilupparsi anche all’esterno. Attualmente produciamo, infatti, ortaggi per un uso interno ma che poi speriamo ci siano le basi per venderle e proporle fuori“. “Mi piace ricordare anche che tra i detenuti abbiamo avuto anche persone che grazie al periodo di detenzione hanno scoperto, attraverso dei laboratori specifici, dei talenti artistici come il teatro o la pratica sportiva – conclude la direttrice -. Questi per noi sono chiari segnali di speranza che possono aprire per queste persone finestre nuove”.


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