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Libia, parla l’attivista berbera: “Haftar vuole cancellarci”

Intervista alla Dire: "L'esercito generale minaccia le minoranze non arabe"

Pubblicato:19-04-2019 12:41
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:23

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ROMA – “Non voglio nemmeno immaginare cosa farebbe il generale Haftar alle minoranze non arabe se riuscisse a entrare a Tripoli”: a parlare con l’agenzia ‘Dire’ è Asma Khalifa, 29 anni, attivista libica per le donne amazigh, una comunità berbera finita sulla linea del fronte. L’intervista si tiene poche ore dopo l’ultimo nulla di fatto al Palazzo di Vetro, dove veti incrociati hanno impedito di approvare una risoluzione Onu che chiedesse un cessate il fuoco.

“Ahmed Al-Mismari, il portavoce dell’Esercito nazionale libico di Haftar, ha sottolineato più volte che il generale non riconosce alcuna minoranza non araba e ha anche minacciato direttamente gli amazigh” denuncia Asma. “Esponenti salafiti hanno perfino emesso una fatwa di condanna, sostenendo che gli amazigh sono come lo Stato islamico”.

L’attivista parla al telefono dalla Germania, dalla sede del German Institute of Global and Area Studies dove sta completando un dottorato di ricerca. A Tripoli e in Libia ha però la famiglia, e allora continua a tornare, l’ultima volta domenica scorsa. “Sono partita dall’aeroporto internazionale di Tripoli, di notte, in preda al caos e allo stress” ricorda: “I decolli sono autorizzati solo quando è buio perché le forze di Haftar non dispongono di visori notturni”.


In Libia, sia a Tripoli che nella città di Zuara, più vicina al confine con la Tunisia, Asma coordina le attività di un’associazione che si batte per i diritti delle donne berbere. “Si chiama Tamazight Women’s Movement, vuole promuovere un percorso di sviluppo ma in momenti di conflitto come questo è davvero difficile” sottolinea l’attivista: “Bisogna dare risposte alle questioni che si pongono giorno dopo giorno, si tratti delle violenze di un marito o del rischio che un’altra bambina diventi sposa”. Gli amazigh, che vivono anche in Algeria e in Marocco, rappresentano circa l’8-10 per cento della popolazione della Libia. Presenti da Tripoli a Zuara fino ai Monti Nufusa, dunque nell’ovest controllato dal governo di Fayez Al-Serraj più che nell’est e nella Cirenaica di Haftar, parlano una lingua distinta dall’arabo, espressione di cultura e identità proprie. Secondo Asma, sul loro futuro pesano le connivenze e i sostegni internazionali sui quali il generale ha potuto contare per lanciare la sua offensiva il 4 aprile.

“Accuso anche la Francia” sottolinea l’attivista: “Preferisce una dittatura che calpesti le minoranze piuttosto che il caos delle milizie che sostengono Al-Serraj, prive di una vera struttura di comando”. La tesi è che i bombardamenti sui quartieri residenziali a sud di Tripoli stiano rafforzando l’opposizione al generale. “Una tendenza – avverte Asma – che si sta purtroppo accompagnando al radicamento dell’idea di una Libia orientale all’assalto di una Libia occidentale, con una regionalizzazione che alimenta il rischio di un conflitto civile a 360 gradi”.

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