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Siria, Khaled Khalifa oltre la guerra: “Sogno la rivoluzione”

Intervista allo scrittore, a Roma per la Festa del libro

Pubblicato:19-03-2018 14:55
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:39
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ROMA – “C’è bisogno che si fermi questa guerra perché la rivoluzione possa riprendere nel suo cammino”. Lo scrittore siriano Khaled Khalifa sorride con gli occhi, mentre si concede una sigaretta tra un’intervista e l’altra al caffè dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, dove ha appena finito di presentare il suo ultimo libro, ‘Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città’, edito da Bompiani e vincitore della medaglia Naguib Mahfuz, uno dei maggiori riconoscimenti per la letteratura araba.

Intervistato dall’agenzia DIRE a margine dell’evento organizzato nell’ambito della Festa del libro e della lettura ‘Libri Come’, l’autore racconta com’è nata l’idea di questo romanzo, che ripercorre la storia del regime di Hafez Al-Assad attraverso le vicende di una famiglia di Aleppo.

“Una serie di immagini del nostro passato, di come la nostra generazione ha vissuto all’ombra di questo regime per 50 anni – spiega Khalifa – hanno cominciato a fluire nella mia mente come un fiume in piena, tanto da fare della scrittura di questo libro un’esigenza a cui dovevo rispondere, anche come forma di auto-guarigione”. È una “ferita”, infatti, quella che la dittatura ha inferto allo scrittore e alla sua generazione, fin dagli anni dell’infanzia: “Ho pensato a quelli che erano i tempi della scuola, dell’università… Ogni mattina eravamo costretti a ripetere l’inno di un partito di cui non ci sentivamo parte, da cui non ci sentivamo rappresentati. È una delle immagini da cui sono partito per scrivere questo libro”.


Da anni lo scrittore non vive più nella sua Aleppo, ma ha deciso di rimanere in Siria nonostante la guerra e il regime che minacciano lui e i suoi affetti. “La mia famiglia è ad Afrin, molti miei amici a Ghouta” dice Khalifa, citando due luoghi chiave nelle cronache di guerra: “Per quanto mi riguarda ritengo che la mia scelta di vivere in Siria sia l’unica possibile per me. E’ una scelta che non saprei neanche spiegare fino in fondo, ma come ripeto spesso non vedo quale sarebbe il valore dell’andare a vivere altrove, di essere io al sicuro mentre il mio popolo è tutto sottoposto al pericolo”. La vita in Siria, spiega lo scrittore, “cambia molto se ti trovi in una zona sotto il controllo del regime o in una di quelle che invece vengono bombardate quotidianamente dal regime stesso, ma tutte quante le aree, che pure vivono in maniera molto diversa, hanno in comune la sensazione di pericolo, la sensazione di paura che si vive ovunque”.

Come reagire alla paura e al pericolo

La risposta non è la fuga, né la richiesta di solidarietà o aiuti umanitari: “La priorità è consentire ai siriani di essere padroni del loro destino” dice Khalifa, “La comunità internazionale non permette ai siriani di prendere alcuna decisione”. E conclude: “Nel momento in cui si fermerà la guerra, in cui non ci sarà più questo regime e quindi le decisioni sul destino della Siria saranno di nuovo in mano ai siriani, vedremo qualcosa di nuovo, qualcosa di positivo. E anche di bello”.

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