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Governo di unità nazionale in Libia contro l’Isis, conviene a tutti

di Barbara Varchetta (Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali) Sono stati necessari cinque anni e

Pubblicato:18-12-2015 17:41
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 21:43

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di Barbara Varchetta (Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali)

Sono stati necessari cinque anni e migliaia di morti perché la comunità internazionale comprendesse la valenza della stabilità politica in Libia.

E’ di ieri la sottoscrizione di un accordo per la costituzione di un governo di unità nazionale, espressione che rimanda a dinamiche negoziali occidentali ma che, nel caso di specie, è ben lontana dall’incarnarne i medesimi contenuti.


E’ senz’altro l’inizio di un percorso condiviso da entrambi i rappresentanti dei governi libici attualmente operanti sul territorio, sebbene gli stessi si siano affrettati a precisare come i firmatari non rappresentino le due Camere.

L’accordo prevede la nascita di un nuovo governo composto da un presidente, due vicepresidenti e sei altri membri individuati tra le figure rappresentative dei diversi ambiti territoriali, con l’intesa che esso collabori con l’Europa e gli Stati Uniti per la rinascita della Libia.

Un percorso che sin da subito appare piuttosto tortuoso: sarà arduo realizzare una sintesi tra le numerose tribù presenti nello Stato ed ancora più complesso sarà garantir loro una giusta rappresentanza nelle sedi istituzionali…se si pensa poi che uno dei primi obiettivi del governo di unità nazionale sarà la definitiva vittoria sull’Isis, lo scetticismo sul buon esito del progetto non può che aumentare.

In gioco non ci sono soltanto la pace e la democrazia di tutta quell’area bensì il controllo sui pozzi petroliferi, la disponibilità del fondo sovrano libico, la possibilità di gestire l’esportazione del gas, attività stimate circa 130 miliardi di dollari. E’ lecito immaginare che lo stato islamico si batterà con tutti i suoi mezzi per sottrarre alla Libia, ed indirettamente all’Occidente, l’egemonia in questi settori; ed altrettanto lecito è immaginare che l’Isis non resterà solo in questa battaglia. Molti dei Paesi che finanziano le sue attività, infatti, lo sosterranno con la finalità di spartirsi il controllo territoriale ed il relativo potere finanziario ad esso connesso.

Un’altra difficoltà che si intravede sullo sfondo di questa mirabile, sia pur tardiva iniziativa, è legata alle posizioni delle milizie armate guidate dal generale Khalifa Haftar  (non coinvolto nel progetto proprio perché non funzionale allo spirito di rinnovamento che lo stesso si propone) che potrebbero ostacolare la transizione verso la democrazia.

E’ del tutto evidente come la comunità internazionale e la stessa Italia rivestiranno un ruolo centrale  che consisterà intanto nel seguire le evoluzioni degli scenari appena apertisi fino a contemplare, poi, laddove le circostanze lo richiedessero, la possibilità di intervenire (anche militarmente).

Di fatto, la firma dell’accordo rappresenta un evento di grande rilievo nel panorama delle relazioni internazionali proprio perché la marginalizzazione della Libia (sarebbe più appropriato dire l’abbandono al suo destino) da parte della comunità internazionale ha comportato il dilagare del fenomeno immigratorio degli ultimi anni nonché causato il mancato contenimento dell’espansione del terrorismo di matrice islamica.

Va da sé che la buona riuscita del progetto avrà sensibili ricadute sul resto del mondo: da qui l’auspicio che esso non rappresenti soltanto un atto presentato con toni trionfalistici ma destinato poi a rimanere vuoto di significato.

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