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Chiesa. Zuppi: “I divorziati non sono un mondo a parte, includiamoli”

"Anche gli addetti ai lavori fanno un po' fatica", ammette l'arcivescovo di Bologna, che sul tema dei divorziati sposa in pieno la linea del Pontefice

Pubblicato:18-02-2016 16:22
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:00

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zuppi

BOLOGNA – Aprire le porte ai divorziati non significa mettere in discussione la dottrina della Chiesa. Anzi, “avvicina un mondo che è stato considerato un po’ estraneo alla Chiesa e di cui invece vediamo il legame profondissimo”. A dirlo è l’arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi, che questa mattina ha celebrato l’inizio dell’anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico Flaminio.

Un anno di passaggio, vista la riforma voluta da Papa Francesco sulle cause di nullità del matrimonio, che si intreccia con il recente Sinodo dei vescovi sulla famiglia. “Anche gli addetti ai lavori fanno un po’ fatica”, ammette Zuppi, che sul tema dei divorziati sposa in pieno la linea del Pontefice.


“Mostrare vicinanza a chi vive ferite e fallimenti è indispensabile- sostiene il vescovo- non si tratta di cambiare la dottrina, ma di rispondere alle esigenze. Molte volte per scarsa comunicazione, qualche volta anche per durezza nostra, c’è un senso di allontanamento. Al contrario, dobbiamo manifestare sempre più attenzione e vicinanza, su questo dobbiamo sempre più impegnarci“. Ad esempio, cita Zuppi, “papa Francesco ha battezzato i figli di persone non sposate, che è una prassi anche normale, pastorale”. E anche sul divorzio occorre “arrivare a una prassi comune dove non c’è quello con la manica larga e quello con la manica stretta- sostiene Zuppi- ma c’è l’applicazione della dottrina della Chiesa”. Il vescovo ammette che la riforma voluta dal Papa non è condivisa da tutti. “Ci sono idee diverse- conferma Zuppi- ma è tutto talmente trasparente che si mette pure per iscritto”. Eppure, insiste il vescovo di Bologna, si deve “uscire dal soggettivismo: non è un problema di innovatori e conservatori”.

Zuppi invita a non accontentarsi “solo di una formula che risultava lontana: mettiamo al centro il discernimento, per amore della verità. Per qualcuno soltanto parlarne è inaccettabile, ma farlo non significa mettere in discussione la dottrina“. Del resto, sintetizza il vescovo, “una buona madre non cambia quello che deve dire, casomai trova il modo giusto per dirle”. Il vicario giudiziale del Tribunale Flaminio, don Stefano Ottani, ribadisce il concetto. “Al di fuori del matrimonio canonico esistono forme dotate di elementi positivi- sottolinea- non si può dire: o c’è tutto o non c’è niente. Il matrimonio naturale, il matrimonio civile, il matrimonio secondo le diverse religioni, le nuove nozze dopo un divorzio, la semplice convivenza possono avere elementi di verità e di amore, senza con questo assurgere a ideale”. I preti, continua Ottani, “sono obbligati a ben discernere le situazioni. Non si può sostenere che tutte le situazioni matrimoniali irregolari sono prive di elementi positivi, per il solo fatto di non essere sacramento. Occorre distinguere caso per caso. Non si tratta di cercare un prete dalla manica larga, ma di seguire l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del vescovo”. E se dal Sinodo sulla famiglia non sono arrivate indicazioni sulla comunione ai divorziati e risposati, “non è certo per non affrontare i problemi- spiega Ottani- ma per rispettare il discernimento caso per caso”. Sia il Sinodo sia la riforma del processo canonico “non innovano la dottrina né le norme sostanziali- insiste il vicario- ci offrono però una nuova mentalità, un più aderente approccio alla realtà. Non basta ribadire che anche i divorziati rimangono battezzati e pertanto membri della comunità cristiana. Occorre includerli in relazioni sempre più coinvolgenti nella vita ecclesiale perché godano anche degli aiuti necessari per il progresso spirituale”.

di Andrea Sangermano, giornalista professionista

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