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L’Italia del Sud? Ha radici anche in Iran e Medioriente

Uno studio di antropologia condotta dall'Università di Bologna ha scoperto delle novità molto interessanti

Pubblicato:17-05-2017 12:08
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:14

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BOLOGNA – Da Cipro e le isole greche fino al Caucaso e al Medio Oriente. E’ il mix genetico che si ritrova nel Dna delle popolazioni della Sicilia e dell’Italia del Sud. Un’eredità che risale a millenni passati, al Neolitico e all’Età del Bronzo. Lo mette in luce lo studio coordinato da Davide Pettener, antropologo del Dipartimento di Scienze biologiche dell’Alma Mater di Bologna. La ricerca, finanziata dalla National geographic society e dal Progetto Erc LanGeLin, ha analizzato i marcatori genomici ad alta densità in un ampio campione di popolazioni del Mezzogiorno italiano. Dai risultati, pubblicati da poco su Scientific Reports, emerge prima di tutto una base genetica comune che va dalla Sicilia a Cipro, fino a Creta e alle isole dell’Egeo e dell’Anatolia. Le popolazioni dell’Italia del Sud sono dunque più simili dal punto di vista genetico a quelle delle isole del Mediterraneo che non agli abitanti dei Balcani. Ma non ci si ferma qui. Le migrazioni avvenute nell’Età del Bronzo hanno portato sulle rive del Mediterraneo geni provenienti dal Caucaso e dall‘Iran settentrionale. Una rivelazione che apre un nuovo capitolo nello studio della diffusione dell’indoeuropeo. Fino ad oggi, infatti, si pensava che questa famiglia linguistica, la più diffusa in Europa, provenisse dai popoli delle steppe a nord del mar Nero e del mar Caspio, di cui però non c’è traccia nell’area mediterranea. “La presenza di lingue indoeuropee come l’italiano, il greco e l’albanese non è spiegabile con il solo contributo migratorio dalle steppe- sottolinea Chiara Barbieri, ricercatrice del Max Planck institute e coautrice dello studio- altri eventi, come migrazioni lungo le coste mediterranee a partire dal Caucaso, devono quindi essere valutati”.

L’Italia meridionale racchiude però anche minoranze etnico-linguistiche legate a migrazioni più ‘recenti. Gli Arbereshe, ad esempio, sono una comunità di lingua albanese presente in Sicilia e nel Meridione, risalenti a gruppi arrivati dall’Albania alla fine del Medioevo. Le enclave ellenofone della Puglia (parlanti Griko) e della Calabria (parlanti Grecanico) hanno invece caratteristiche genetiche che suggeriscono invece una maggiore antichità di insediamento e una permeabilità culturale più alta con le popolazioni vicine, a cui però si aggiungono anche effetti di isolamento geografico. “Lo studio degli ‘isolati’ linguistici e culturali in Italia– spiega Alessio Boattini, antropologo dell’Università di Bologna- si è dimostrato importante per comprendere determinate fasi della nostra storia genetica e demografica. Questi casi aiutano a far luce sulla formazione di identità culturali e linguistiche determinanti per la grande diversità genetica del nostro Paese”. In sostanza, riassume Pettener, “la sinergia tra i punti di vista genetico e culturale può aiutarci a ottenere una maggiore comprensione delle dinamiche che hanno contribuito alla formazione del nostro patrimonio genetico mediterraneo”. E in futuro, aggiunge Donata Luiselli, co-responsabile del progetto, si proverà a “integrare dati provenienti da diverse discipline come la linguistica, l’archeologia e la paleo-genomica, con lo studio del Dna antico da resti archeologici, per espandere questi risultati fornendo nuovi tasselli per far luce sulla nostra storia biologica e culturale”.

di Andrea Sangermano, giornalista professionista


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