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Da D’Alema a Veltroni (forse). La fenomenologia dei “ritorni”

Aldo Garzia per www.ytali.com Grandi ritorni in Parlamento all’orizzonte. E’ nostalgia del passato, o povertà dell’attuale

Pubblicato:16-10-2017 09:36
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:47

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Aldo Garzia per www.ytali.com

Grandi ritorni in Parlamento all’orizzonte. E’ nostalgia del passato, o povertà dell’attuale personale politico? Sta di fatto che crescono le voci di possibili ricandidature alle prossime elezioni. La lista dei papabili si allunga, dopo che alcuni di loro hanno passato appena una legislatura o poco più fuori da Camera e Senato.

Il primo a dare l’esempio è stato Massimo D’Alema con la famosa dichiarazione: “Se me lo chiedono i pugliesi, potrei ricandidarmi”.


Ora pare sicuro, con effetto traino, che si pluricandiderà in tutte le caselle permesse dalla nuova legge elettorale per il Movimento democratici e progressisti (Mdp).

Siccome Massimo D’Alema e Walter Veltroni sono un binomio antinomico inseparabile, ecco che da sabato scorso – dopo l’assemblea al Teatro Eliseo a Roma festeggiante i dieci anni del Pd – gira insistentemente pure la voce di una ricandidatura del primo segretario piddino.

Pare che la richiesta venga insistentemente dagli stessi Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, resisi conto che Veltroni e il veltronismo (quello stare a sinistra un po’ alla Obama senza trascurare cattolici, centristi e immaginario musical-cinematografico) sono l’unico collante dell’attuale Pd troppo sbilanciato al centro e con sempre meno padri fondatori all’interno.

Di sicuro il veltronismo è collante potenzialmente più forte del renzismo ammaccato e declinante. La platea dell’Eliseo ha infatti accolto trionfalmente Veltroni che, a differenza di Romano Prodi e altri, non ha disertato il compleanno piddino.

Ora c’è quindi chi lo rivuole in politica e in Parlamento, chissà un domani pure al Quirinale. Lo spirito di servizio di Walter è messo a dura prova: lascerà la ritrovata vocazione da regista per il cinema tornando all’antico impegno politico?

La lista dei possibili ritorni è lunga: Piero Fassino (trombato come sindaco di Torino dopo un primo mandato), Francesco Rutelli (ora si occupa di cinema come presidente dell’Anac), Giuliano Pisapia (due legislature all’attivo), Emma Bonino (fu eletta la prima volta alla Camera nel 1976, quarantuno anni fa), Bobo Craxi junior (è stato sottosegretario del centrosinistra), Antonio Bassolino (l’ex sindaco di Napoli lascerà il Pd per Mdp?). Ritorni vengono annunciati pure a sinistra del Pd, a destra e al centro (circolano i nomi dei sempre eterni Paolo Cirino Pomicino e Clemente Mastella), mentre Silvio Berlusconi annuncia solennemente: “Se questa volta perde il centrodestra, lascio la politica. Vuol dire che gli italiani non ci meritano”.

Il ricambio politico e generazionale resta un problema aperto e irrisolto della politica italiana. Il che spiega il successo del primo renzismo, quello della “rottamazione”. Risulta infatti insopportabile ai più una politica che ha più o meno sempre gli stessi padri nobili, salvo l’implacabile anagrafe. In Europa sarebbe impensabile il ritorno di Felipe González in Spagna, di Tony Blair o David Cameron in Gran Bretagna, di Gerhard Schoeder in Germania. I nomi di questi leader sono infatti legati a un ciclo della politica, poi o vanno in pensione o rivestono altri ruoli pubblici e istituzionali.

In Italia – forse per la non esaltante storia democratica priva di alternanze, per un certo inossidabile familismo (il fenomeno dei figli che fanno i mestieri dei padri anche in politica), per la politica intesa come unico mestiere della vita, per la tradizionale immobilità sociale – il ricambio è difficile. In alcuni settori sociali c’è pure nostalgia per i politici “puri” e la Prima Repubblica.
Il che spiegherebbe la fenomenologia dei “ritorni”.

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