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Imparare l’umanità è possibile

di Vanna Iori, senatrice pd Ci stiamo trasformando. Una lenta e inesorabile trasformazione antropologica del nostro comune sentire che sta spingendo

Pubblicato:16-06-2018 16:06
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:16
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di Vanna Iori, senatrice pd

Ci stiamo trasformando. Una lenta e inesorabile trasformazione antropologica del nostro comune sentire che sta spingendo molti cittadini ad abbandonare qualsiasi senso di empatia e di com-passione per affermare una cultura del “me ne frego” che si fonda sull’idea di pensare solo a sè perché “gli altri” vengono dopo. Gli altri, semplicemente, non contano e spesso sono un impediamento, un impaccio.

E questo nuovo sentire sembra avere anche bisogno di essere affermato, rivendicato con orgoglio ed esaltato. Il web sta diventando l’oscuro contenitore dei pensieri poco mediati, spesso violenti e meschini di chi ha bisogno di rilanciare questa nuova fase nella cultura diffusa: per chiunque la pensa diversamente “è finita la pacchia”. Riecheggia questo urlo collettivo: siamo tanti, non ci importa di voi e pretendiamo di essere primi perché noi siamo il popolo nella sua interezza. Come se i milioni di cittadini che non la pensano come loro non avessero alcun diritto di cittadinanza e fossero un fastidio da scansare con il gesto della mano una mano. Tutti sottoposti a un’ordalia collettiva che deve stabilire responsabilità e pene. La politica, che dovrebbe mediare, guidare, spiegare, spinge l’asticella ancora più in altro, lucrando su ogni disgrazia o problema pur di ottenere altro consenso in nome di un presunto primato dell’italianità in pericolo.

Me ne frego sembra essere la parola d’ordine strisciante che torna prepotentemente sulla scena. L’esigenza di un egoismo collettivo, nel nome del popolo sovrano, come collettore sociale e culturale.  Ebbene, io non ci sto. E molte voci come la mia si stanno dando eco. Credo che le forze progressiste, riformiste e di sinistra che esistono in questo Paese non debbano aver paura di rivendicare una visione opposta che si fonda sulla cura dell’altro, qualunque sia la sua condizione. L’etica della cura, posta a fondamento dell’agire sociale, si connota come etica pubblica e politica. Non è “buonismo”. Il prestare ascolto e attenzione alla voce degli altri ci interpella nella nostra responsabilità, ci chiama in causa nella nostra dimensione relazionale sociale. L’etica politica è opera di costruzione di  civiltà.


Don Milani adottò il motto “I care”, letteralmente “Mi importa, ho a cuore” come netta contrapposizione all’indifferenza e agli egoismi.  Questa frase, scritta su un cartello gigante nella scuola di Barbiana, riassumeva le finalità educative di una scuola che doveva promuovere e sostenere il riscatto dei singoli figli di contadini del Mugello senza mai perdere fosse l’attenzione per l’altro. E non si trattava di buonismo, ma di un’istruzione come strumento di presa di coscienza sociale, civile e morale.

Oggi questo riconoscimento reciproco sembra allontanarsi sempre più mentre avanza un pericoloso disprezzo verso l’attenzione all’altro come fondamento del nostro vivere sociale e della nostre comunità. Serve uno sforzo etico e culturale collettivo per rilanciare il primato dei valori umani, partendo dalle scuole e dai ragazzi, altrimenti consegneremo una generazione a un futuro di rabbia inconsapevole. Imparare l’umanità è possibile.

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