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Il segreto della Velina Rossa

di *GIORGIO FRASCA POLARA per ytali.com

Pubblicato:16-05-2017 11:08
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:13

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di *GIORGIO FRASCA POLARA per ytali.com

Novant’anni. Pasquale Laurito, decano dei giornalisti parlamentari, inventore, autore, curatore e diffusore della Velina Rossa, è stato festeggiato ieri dai colleghi e da politici nella sala stampa di Montecitorio, dove ha trascorso i tanti decenni della sua carriera giornalistica. Nell’occasione, l’amico, compagno e collega Giorgio Frasca Polara ha pronunciato un discorso, che qui proponiamo ai nostri lettori. È un bel ritratto di un personaggio unico ma anche il racconto di un’epoca, e di un modo d’intendere e praticare la professione giornalistica al tramonto.

Caro Pasquale,


auguri di tutto cuore: quelli che ti rinnovo ogni anno da quarantacinque anni. Mi consentirai (e soprattutto mi consentirete, care colleghe e cari colleghi qui riuniti per festeggiare il nostro giovane novantenne Laurito, il nostro ragazzo Pasqualino) di condire questi auguri con qualche considerazione per un verso meno occasionale e per un altro verso più personale? Credo che le circostanze mi autorizzino a farlo.

E allora comincio dall’inizio. Dicono che il tempo delle veline sia tramontato. Sì, è vero se per velina s’intende un centone di frasi sospette o sospettose, di insinuazioni, di “pare che…”, di “dicono che…”, di dire-e-non-dire. O, peggio, se per velina s’intende (meglio: si intendeva) lo strumento di provocazioni o addirittura di pratiche ricattatorie, e i più vecchi tra noi ne ricordano certamente qualcuna. E difatti questo tipo di velina è scomparso, travolto dai tempi, dal modo stesso di fare giornalismo, dalla rottura – da parte della grandissima parte del sistema dell’informazione – di un modo di informare reticente e/o allusivo.

Perché dunque la velina di Pasqualino non è tramontata? Quei due fogli sono vivi, vegeti, arzilli non solo perché dopo essere stati composti e riprodotti vengono spesso letteralmente recitati dall’autore in Transatlantico; ma soprattutto perché ogni volta che graffia, e graffia spesso, c’è una tacita rincorsa, tra chi non ne è destinatario ufficiale, a farne una copia spuria, o anche solo a farsene dettare un passaggio per telefono, o a chiamare uno dei (pochi) privilegiati per chiedere, curioso o peggio inquieto: “Ma è vero che Pasquale ha scritto questo e quest’altro?”.

Qual è allora il “segreto” della velina di Pasquale? Appunto il contrario del vecchio cliché del dire e del non dire. Pasquale dà notizie, fornisce indiscrezioni, esprime giudizi: severi o sarcastici, generosi o perfidi. E li esprime con coraggio, con ostinazione e con grandissima passione politica e civile, senza farsi condizionare da amicizie o da colleganze politiche, restando fermissima la sua fedeltà agli ideali, non alle ideologie. Così che non solo può accadere che Palazzo Chigi si scomodi a smentire ufficialmente Pasquale (tutto onore, e tutta pubblicità gratuita) ma può accadere persino che un segretario del più importante partito della maggioranza si abbandoni ad una imbarazzante filippica denunciando “veline e veleni”: ora di veleni che ne sono tanti, e arrivano da tutte le parti, comprese le sue, ma di veline ce n’è una sola e viene evidentemente considerata un tormentone fastidioso persino da chi non è suo avversario (ma nemmeno intimo)

Se questo è, secondo me, il segreto del successo della Velina rossa, c’è un altro interrogativo da sciogliere: perché, a novant’anni suonati e a parte questa momentanea interruzione dovuta non ad acciacchi senili ma ad una grana ossea che capita anche ai più giovani, perché dunque Pasqualino dal lunedì al giovedì compreso scrive, pardon, detta la sua velina ad Alfonso come prima ad Alessio e ancor prima a Cavaglià, a Ferdinando, e qualche volta persino a me, che venni poi contestato e respinto perché attenuavo ogni tanto qualche sua invettiva particolarmente irruente? Lo fa per soldi? Non scherziamo, anche se bisogna dire che la sua pensione è un insulto considerando sessant’anni di lavoro a Democrazia e Lavoro, a Paese Sera, al Globo, all’Ansa. No, Pasqualino crea la sua velina per passione politica e civile. Tanto che credo di non rivelare nulla se dico che la Velina Rossa è destinata solo a chi gli garba: molti i pretendenti ma pochi gli eletti, e forse non tutti sanno come e quanto Pasqualino goda del digiuno cui costringe anche qualche autorevole giornale e qualche autorevolissimo personaggio.

Intorno a Pasquale sono cresciute molte leggende. Per esempio quella che la Velina sia nata come contraltare ad un’altra, altrettanto celebre velina, quella centrista di Vittorio Orefice. (Ce n’era un’altra, quella del carissimo Emilio Frattarelli. Ma quella era sacra: un monumento intoccabile e fidato, certo, anche se non propriamente una macchina da guerra come quella di Pasquale). C’è un barlume, solo un barlume di verità in questa leggenda del contraltare a Orefice. Perché in realtà Vittorio, come il povero Frattarelli, è scomparso ormai da molti anni e Pasquale invece continua imperterrito il suo lavoro senza rimpallo, senza contraddittorio.

Un’altra leggenda è che Pasquale abbia preconizzato per primo che il Pci avrebbe chiesto (come in effetti ottenne) le dimissioni di Leone da presidente della Repubblica per le ombre che sul Quirinale erano state gettate dallo scandalo Lockheed. È vero: lo seppe e lo scrisse per primo. Piuttosto dubbia invece un’altra leggenda: che sia stato lui a preconizzare per primo l’elezione al Quirinale di Sandro Pertini. Perché qui la verità è testimoniata da un fogliettone del mio giornale di allora.

Pasquale Laurito con Ugo Sposetti (Pd) (Dire.it)

Un giorno prima che Pasquale lanciasse questa ipotesi il mio direttore di allora, la buonanima di Alfredo Reichlin, mi impose di scrivere, letteralmente in pochi minuti poco prima che il giornale andasse in stampa, un pezzo di colore sulla collezione di pipe e di quadri di Pertini: doveva essere, e fu, un segnale inequivoco. E lo dico non a mio merito ma a mia disgrazia perché non avete l’idea di quante fatiche mi costò inventarmi quel pezzo…

Un’altra leggenda è che Pasquale sia, attraverso la sua velina, il fedele interprete del D’Alema-pensiero. Leggenda vera a metà. Vi garantisco che ha molta stima di Massimo D’Alema (che non è qui solo perché è appena partito per la Cina), che lo considera la testa più lucida del partito che è stato e di cui Pasqualino è un nostalgico quanto lo sono io. Ma la fedeltà è un concetto che s’attaglia poco a Pasqualino: quando D’Alema dice una cosa giusta diciamo che la Velina Rossa gioisce nel commentarla, ma quando D’Alema dice una cosa che non convince Pasquale (il che per la verità capita raramente, e ancor più ora che è nato articolo1 che è animata dalla battaglia contro l’odiato Renzi), allora la velina non polemizza, no, ma glissa. E tutti capiscono.

Ma in genere ai suoi vicini di pensiero politico non gliene lascia passare una che è una: quando non sono presenti in aula, quando si affermano forme fastidiose di familismo, quando – ecco il ritratto della sua grande, sacrosanta passione politica – emergono posizioni pilatesche. Il rigore anima Pasquale. Tanto che se è vero che se qualche rara volta, scrivendo sotto dettatura, aggiungevo al suo anche il mio peperoncino, in genere consentiva; ma quando invece, ed era molto più frequente, cercavo di mettere qualche goccia di Perequil nella velina per attenuare un pesante aggettivo o un troppo deciso avverbio, succedeva un finimondo: “nooo, no, ragazzo!”.

Qualcuno definisce Pasquale un furetto. Tanti anni fa, ai tempi della Solidarietà nazionale, il povero Fernando Di Giulio, indimenticato presidente dei deputati comunisti, gli appioppò un altro soprannome. Ecco come andò. Nella sala di lettura riservata ai deputati, stavo raccogliendo una confidenza di Di Giulio su certi nervosismi che serpeggiavano tra lui e il sottosegretario di Andreotti, Franco Evangelisti: erano, loro due, i “proconsoli” dei protagonisti dell’esperimento Dc-Pci. Pasqualino ci tampinava, cercava di carpire oggetto e ragione del nervosismo, faceva finta di sfogliare un giornale ma in realtà tendeva l’orecchio, anzi le orecchie. E allora Di Giulio sbottò, ridendo: “Laurito smettila o ti chiameremo Lauricchio!”.

E allora grazie Pasquale di essere così tenace, così passionale, così rigoroso in un tempo nel quale il gusto dell’annotazione politica, la tenacia, le passioni vere e i rigori sacrosanti scemano, si diradano, si polverizzano, scompaiono. Dirò di più: qui dentro il rinnovamento generazionale è fortissimo. Quanti giovani e soprattutto quante giovani hanno preso il posto di noi vecchi. E se hanno raccolto bene il miglior testimone, ben spesso lo debbono anche, direttamente o non, all’esempio, alla capacità di Pasquale Laurito di dimostrare che il giornalismo può e deve essere una cosa seria, una fatica, un servizio civile, una coscienza critica.

Grazie dunque di quel che hai insegnato e insegni a tutti noi, vecchi e giovani. Grazie di esserci, caro, iroso e dolcissimo Pasquale ! E, mi raccomando, ora che sei in piedi: fisioterapia ogni giorno, senza tregua, sino a quando lascerai anche questo odiato bastone e tornerai tra noi, a litigare con me come fai da tanti anni, salvo poi a telefonarmi ogni mattina quando stavo male io, e a telefonarti ogni mattina quando stavi male tu.

Lunga vita, caro Pasquale, e tante Veline Rosse

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