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Siria, Darnis: “Guerra di immagini se non si crede alle democrazie”

Lo spunto sono le denunce di Mosca su "una messinscena" che "servizi stranieri" avrebbero ordito rispetto ai bombardamenti nella Ghouta orientale e in particolare nell'area di Douma

Pubblicato:16-04-2018 13:28
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:46
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ROMA – “Il problema vero e’ che oggi la parola delle democrazie non e’ creduta e viene messa sullo stesso piano di quella delle non democrazie, come la Russia”: cosi’ all’agenzia DIRE Jean Pierre Darnis, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali (Iai), convinto che in Siria sia ormai anche guerra di immagini e propaganda. Lo spunto sono le denunce di Mosca su “una messinscena” che “servizi stranieri” avrebbero ordito rispetto ai bombardamenti nella Ghouta orientale e in particolare nell’area di Douma. 

Sui social sono stati accusati in particolare gli “White Helmets”, i “caschi bianchi”, organizzazione siriana sostenuta da donazioni americane ed europee che avrebbe diffuso video e alimentato ricostruzioni false sull’uso di armi chimiche. Professore all’Universita’ di Nizza, francese, Darnis dirige allo Iai il programmma Tecnologia e relazioni internazionali. 


– Professore, perche’ bisogna credere agli Stati Uniti e non alla Russia? 

“Perche’ i russi hanno negato di essere intervenuti in Crimea. E a fare campagne di propaganda sono abituati sin dai tempi della Guerra fredda. Hanno negato che il missile che nel 2014 ha abbattuto l’aereo nei cieli dell’Ucraina era di fabbricazione russa. Ma alla fine e’ emerso che era proprio cosi’. Non sono affidabili. Anzi, di piu’: fanno un uso spudorato della controverita’. Questo non vuol dire che ogni tanto non ci siano cose vere. Ma il loro e’ un racconto politico. Per questo oggi il lavoro dei giornalisti e’ essenziale come non mai. Bisogna indagare, verificare…” 

– Non sono sufficienti i video che arrivano dalla Ghouta orientale? E’ necessario aspettare i risultati dell’inchiesta dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche? 

“Punti fermi ci sono gia’. Venerdi’ il presidente francese Emmanuel Macron ha affermato in modo chiaro di avere le prove che c’e’ stato uso di armi chimiche da parte del regime di Bashar Assad. La premier britannica Theresa May lo ha confermato e lo hanno fatto anche gli Stati Uniti. Oggi gli Usa sono meno intellegibili perche’ Donald Trump e’ molto ieratico e’ difficile da interpretare. Ma Macron non avrebbe inviato quel messaggio se l’apparato francese di valutazione non avesse fornito una risposta chiara, fondata su indizi ed elementi di fatto”.

– Crediamo a Macron?

 “Tenderei a credere all’apparato militare e alla presidenza francese piuttosto che a siti strani o a gente che parla per sentito dire. A questo punto e’ una scelta di campo. Se pensi che lo Stato francese sia un nemico, e oggi in Italia c’e’ un partito anti-francese molto forte, allora dici: ‘Non ci credo, non ci sono state armi chimiche’. Ma anni fa questa domanda non ce la saremmo posta. Con Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti che nella Nato sostenevano una posizione, si sarebbe creduto che evidentemente c’erano elementi per condividerla. Ci si fidava degli alleati e delle democrazie. Il vero problema oggi e’ che la parola delle democrazie non e’ piu’ creduta e viene messa sullo stesso piano delle non democrazie, come la Russia, che in Crimea ha fatto carne di porco”. 

– Non sara’ che dopo le provette di Colin Powell al Consiglio di sicurezza Onu, con le prove fasulle sulle armi di distruzione di massa in Iraq, si e’ diventati piu’ critici?

 “Allora, come tradizione, la Francia non ando’ a rimorchio di americani e inglesi. Disse: ‘No, non siamo d’accordo, non pensiamo ci siano quelle armi’. Dominique De Villepin fece un intervento forte e Parigi non partecipo’ alla cosiddetta Coalizione dei volenterosi, a cui invece aderi’ l’Italia”.

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