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In Veneto lo strano caso del miele dal ‘retrogusto’ alla paraffina

Apicoltori veneti in ansia.

Pubblicato:15-09-2018 10:43
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:34
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VENEZIA – Doveva essere un test per verificare l’impatto dei fogli di cera d’ape utilizzati in apicoltura sulle api stesse e sulla loro produttività, capendo cosa prediligono e individuando le caratteristiche dei prodotti migliori. Invece è diventato un incidente diplomatico che, usando le parole del consigliere regionale democratico Andrea Zanoni, ha “portato negli alveari proprio le sostanze che si mirava a tenere fuori”. E ora, c’è chi teme che “il prossimo anno potrebbe esserci del miele contaminato”.

È il Veneto il teatro di questo ‘caso’

Tutto nasce attorno al progetto “Caratteristiche della cera d’api, possibili ricadute sull’allevamento delle api”, avviato lo scorso marzo dall’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (Izsve), a cui hanno aderito nove associazioni di apicoltori sulle 11 presenti in Veneto. Prevedeva la distribuzione di fogli di cera reperiti in commercio e pagati con fondi regionali per monitorare -con l’aiuto degli apicoltori- il comportamento delle api ed eventuali effetti positivi o negativi dei materiali. Ma a maggio qualcuno si accorge di un possibile ‘pasticcio’, quando i fogli di cera sono stati distribuiti alle associazioni. “Normalmente quando acquistiamo questo tipo di materiali viene fornita la documentazione necessaria per la tracciabilità, obbligatoria per legge, che contiene i dati relativi alle analisi”, racconta Rino Cassian, presidente dell’associazione di apicoltori trevigiani Apimarca. Ma i fogli di cera distribuiti dall’Izsve ne erano sprovvisti, e l’Istituto non ha risposto alle richieste di fornirli. Così, “prima di distribuire i materiali ai nostri associati abbiamo fatto fare le analisi dal Consiglio per la ricerca in apicoltura (Crea)” e i risultati li hanno fatti saltare sulla sedia. Nei fogli di cera c’era “il 10% di paraffina e anche la propagite, una sostanza che in Europa è vietata dal 2011”. Ovviamente “se nei prodotti ci sono queste porcherie non li compriamo mica”, precisa Cassian che ha immediatamente avvisato l’Izsve via Pec, scrivendo anche all’assessore all’Agricoltura Giuseppe Pan.

Dall’istituto e dall’assessorato non è però arrivata risposta

Allora “abbiamo deciso di abbandonare il progetto e rispedito all’Izsve i materiali”, continua Cassian, e in risposta “ci è stato detto che tra le nove associazioni noi siamo stati gli unici a lamentarci e che i nostri materiali sarebbero stati distribuiti tra le altre associazioni”. Insomma, se così fosse andata vorrebbe dire che paraffina e propagite sono finite negli alveari, e porta a ipotizzare un “rischio che il prossimo anno ci sia del miele contaminato”. Anche perché la propagite è un acaricida che viene ancora utilizzato in alcuni Paesi asiatici dove rimane però esposto agli agenti atmosferici che lo deteriorano e “non sappiamo che effetto possa avere negli alveari dove rimane protetto e permane quindi più a lungo”.
Avvisato degli ulteriori elementi venuti a galla, il consigliere Andrea Zanoni deposita un’interrogazione all’assessore all’Agricoltura Giuseppe Pan e all’assessore alla Salute Luca Coletto, giudicando grave che i fondi regionali siano stati spesi per acquistare materiali contaminati, e ancor più grave che una volta chiarito che i materiali contenevano sostanze chimiche nocive si fosse comunque proceduto a distribuirli. “Non essendo la cera un prodotto alimentare, non sono previsti valori minimi di legge per le sostanze estranee”, è allora intervenuto Pan, giustificando la presenza dei prodotti chimici con la spiegazione del fatto che “ordinariamente i fogli sono costituiti da cera fusa e riciclata, che può contenere tracce di principi attivi utilizzati in agricoltura o dagli stessi apicoltori convenzionali per la lotta alla varroa”. Ma se ciò potrebbe giustificare la presenza di leggere quantità di alcuni acaricidi e diserbanti, non spiega in realtà l’alta percentuale di paraffina né tantomeno la presenza di propagite. Per quanto riguarda la prima, “se io compro 100 litri di prosecco e poi scopro che mi hanno dato 90 litri di prosecco e 10 litri di acqua questa cosa ha un nome”, attacca Zanoni, che pur lasciandolo intendere non si spinge a usare la parola truffa, ma invoca un intervento della Corte dei conti.
Per la propagite, invece, le ipotesi sono due. “O qualcuno in Europa agisce fuorilegge e la usa ancora, ma a sette anni dall’introduzione del divieto sembra difficile, oppure i fogli di cera arrivano da fuori dall’Europa”. Ad ogni modo, non è vero che non esistono limiti per le sostanze chimiche nei prodotti dell’apicoltura. Un limite esiste, è pari a 0,05 milligrammi per chilo e lo ha fissato lo scorso giugno l’Unione europea, spiega Zanoni. “Vero che è recente, ma c’è, e l’assessore non può non saperlo”. E non può non considerare che i due campioni analizzati dal Crea contenevano rispettivamente 0,552 milligrammi per chilo e di 0,454 milligrammi per chilo, quindi “superavano 10 volte il limite”. L’assessore “non ha dato certo un bel messaggio dicendo che nell’apicoltura non biologica sono ammessi tutti i prodotti, senza limiti” rincara Cassian confermando che i limiti invece ci sono, e “sono stati stabiliti dall’Unione europea”. Semmai, nell’agricoltura tradizionale sono ammesse “solo determinate sostanze indicate dal ministero”, che invece in quella biologica non si possono usare. Ma non la paraffina né tanto meno la propagite. La domanda, quindi, è perché il materiale in questione non sia stato restituito a chi l’ha venduto.

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