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Sempre più alcol, in Italia aumentano i consumi e i pericoli

Nel nostro Paese quasi 40mila accessi al Pronto soccorso per le conseguenze dell'assunzione di alcol, i morti sono 17mila

Pubblicato:15-05-2019 08:27
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:27
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ROMA – Diminuiscono gli astemi, crescono i consumatori, specie gli occasionali, non diminuiscono i consumi medi pro-capite e i bevitori a rischio, che sono circa 8,6 milioni (23 % circa dei maschi e il 9% delle femmine): oltre 2,7 milioni di anziani e 700mila minori (in particolare aumento tra le ragazze). Sono i nuovi dati dell’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), contenuti nella Relazione al Parlamento del ministro della Salute, e diffusi stamattina nel corso dell’Alcohol Prevention Day 2019.
Non si arresta la tendenza al bere sino ad ubriacarsi (12% maschi, 3,5% femmine), con circa 4 milioni di binge drinkers, e sono stati registrati oltre 39mila accessi in Pronto Soccorso per intossicazione etilica. Diminuiti gli alcoldipendenti in carico ai servizi, circa 68mila (il 27% è composto da nuovi utenti) poco meno del 10% dei 690mila consumatori che hanno già un danno da alcol che richiederebbe un trattamento non erogato, perché non intercettati dalle strutture e dal personale del Servizio Sanitario Nazionale, in sofferenza per l’aumento complessivo delle dipendenze. Invariati da anni i 17mila decessi annuali totalmente e parzialmente legati all’alcol, con mortalità prevalentemente per cancro, incidenti stradali e, in particolare, cirrosi epatica, che riconosce l’alcol come causa in oltre il 67% dei casi, spiazzando la causa virale. Ancora carente l’implementazione di politiche nei settori di contrasto all’intossicazione, di politiche dei prezzi e di riduzione della disponibilità degli alcolici.
Il consumo rischioso e dannoso di alcol continua a connotarsi in Italia per un impatto sanitario e sociale sempre più preoccupante per milioni d’individui di tutte le fasce di età e si manifesta attraverso un ricorso ai servizi e alle prestazioni sanitarie che in termini di costo rappresentano solo una parte dei 25 miliardi di euro l’anno stimati dall’Oms che in Italia la società paga anche a fronte di problematiche sociali legate: all’assenteismo, alla perdita di lavoro e produttività, agli atti di violenza, ai maltrattamenti che sfuggono alla stigmatizzazione sociale da parte delle persone che hanno anche scarsa consapevolezza dei rischi per la salute con la lunga serie di conseguenze a breve, medio e a lungo termine. I consumi medi pro-capite non decrescono e, anzi, se riferiti ai soli consumatori, si incrementano accompagnati dalla diffusione delle modalità di consumo a rischio.
Invariati complessivamente, ma in leggero aumento per i più giovani e gli anziani, i 4 milioni di binge drinker che consumano fino ad ubriacarsi. Anche i 5,5 milioni consumatori che eccedono quotidianamente sottolineano una cultura che non è influenzata dalla tradizione e dalla prevenzione che appare sbilanciata verso il rischio, per molti legato ad una sempre più pervasiva cultura dell’intossicazione alcolica. Nel corso dell’anno si sono registrati oltre 39mila accessi in Pronto Soccorso caratterizzati da una diagnosi principale o secondaria attribuibile all’alcol, fenomeno ben lontano dal ‘bere’ inteso come momento conviviale.
Manca da qualche anno, secondo le rilevazioni dell’implementazione delle politiche sull’alcol condotte dall’Oms e dall’Iss, la risposta di salute pubblica per carenza o inadeguatezza d’intervento pur previsto dagli obiettivi dal Piano Nazionale di Prevenzione e connessi Piani Regionali che non hanno ancora sviluppato il loro potenziale. I giovani, insieme agli anziani e alle donne, rappresentano un target di popolazione estremamente vulnerabile al consumo di alcol che risulta, per minori, adolescenti e giovani adulti, la prima causa di mortalità, morbilità e disabilità (incidentalità stradale, tumori, cirrosi epatica e malattie cardiovascolari).
La stima dei trend di mortalità parzialmente e totalmente alcol-attribuibile pubblicata dall’Oms per tutti gli Stati membri dell’Unione Europea conferma gli oltre 17mila morti stimati dall’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Iss come causati dall’alcol e vede il tasso di mortalità specifico di queste tre condizioni avviarsi ad una risalita. Trattandosi, poi, di una sostanza tra le più caloriche assunte attraverso l’alimentazione (7 kcal/g, circa 90 kcal in 1 Unità Alcolica), l’apposizione in etichetta delle bevande alcoliche delle kcal/g di alcol contenuti in una Unità Alcolica, che in tutta Europa si attesta in media sugli 11 grammi di alcol (secondo quanto riportato dalla European Joint Action on Reducing Alcohol Related Harm-Rarha), potrebbe essere un alleato nella lotta all’obesità, oltre che alla continua crescita del tasso di alcoldipendenza. Come rilevato dalle valutazioni dell’Ona-Iss acquisite nella Relazione al Parlamento del ministro della Salute, poi, dei 690mila consumatori dannosi di alcol “in need for treatment”, ovvero richiedenti una qualunque forma di intervento, solo 68mila risultano in carico ai servizi di alcologia (rispetto ai 72mila circa dell’anno precedente).

BINGE DRINKING, PER 4 MLN ITALIANI ECCESSO NEL WEEKEND

Degli 8,6 milioni di consumatori di alcol a rischio in Italia, giovani, donne e anziani risultano le categorie maggiormente esposte. I numeri parlano di “2.7 milioni di anziani, attribuibili alla fascia degli over 65, di circa 700mila minori tra gli 11 e i 17 anni, che divengono 1 milione e mezzo se allarghiamo la fascia d’età fino ai 24”. Così Emanuele Scafato, dell’Istituto Superiore di Sanità e direttore dell’Osservatorio nazionale alcol (Cnesps), intervistato dall’agenzia Dire durante l’Alcohol Prevention Day a Roma.


In Italia, un’unità alcolica equivale a 12 grammi e “il consumo giornaliero si dovrebbe generalmente attestare su due bicchieri per gli uomini e uno per le donne, se di sana e robusta costituzione”. Invece purtroppo, spesso non si è consapevoli che l’eccesso “non è solo quello quotidiano ma riguarda anche coloro che eccedono durante il fine settimana”. Il fenomeno si chiama ‘binge drinking’ e “caratterizza ormai 4 milioni di italiani, con un picco tra i 18 e i 24 anni”. Questo, a detta di Scafato, ci rende “la misura dell’incapacità da parte delle generazioni dei baby boomers, che ora hanno dei figli, di trasmettere un modello di moderazione che loro stessi non hanno avuto. I quarantenni di oggi hanno avuto gli stessi problemi del ‘bere per ubriacarsi’ e del consumo a rischio, per cui- ha continuato Scafato- il trasferimento del sano modello di moderazione mediterraneo è diventato alquanto difficile”. Complici soprattutto, secondo il direttore, “le pressioni mediatiche e gli investimenti pubblicitari, come anche la sponsorizzazione di eventi culturali e musicali che fanno dell’alcol un valore”. Elementi che hanno contribuito allo sviluppo di “modelli del bere, che non rientrano nel consumo moderato e nel controllo formale e informale della società. Oggi mancano gli anticorpi sociali che possono consentire di contrastare la mala movida”.
Con riferimento alle donne, ha aggiunto che, “superato un bicchiere al giorno, aumenta di circa il 27% il rischio di cancro alla mammella”. Per giovani e anziani si stima invece che, i primi, se minorenni, rappresentano almeno il 10% dei 39mila accessi al pronto soccorso per intossicazione alcolica e che, per quelli fino ai 29 anni, la prima causa di morte risulta essere l’alcol alla guida. “Bisogna intervenire nelle scuole, nei contesti sportivi, nei luoghi frequentati dai giovani che non vanno dal medico quanto gli adulti”.
Per gli anziani, invece, il medico è la soluzione primaria ma questo “non può blandire l’anziano e dirgli ‘bevi un bicchiere perché fa bene al cuore’. Gli over 65- ha spiegato il direttore- prendono farmaci, hanno diverse malattie e se anche un bicchiere facesse bene al cuore, e non fa bene, fa male ad oltre 220 patologie, tra le quali il cancro”. Inoltre, per questa categoria, il consumo a rischio, “aumenta l’incidentalità domestica, i problemi relativi alla capacità cognitiva e le possibili interferenze con i farmaci”. L’Organizzazione mondiale della sanità ha come motto in materia di alcol ‘less is better’ ma il direttore la considera una definizione ancora troppo generica, “bisogna dare risposte differenti rispetto alle differenti categorie”. Intercettare precocemente il rischio è importante, e tra gli strumenti preventivi in materia, “i medici devono chiedere, bevi?, con quale frequenza?, ti capita spesso di intossicarti?”. Questo metodo, utilizzato in tutto il mondo prende il nome di ‘audit’ e “a seguito delle domande- ha spiegato Scafato- si elabora un punteggio che, se è superiore a 4 nelle donne e a 5 negli uomini, definisce che probabilmente la persona ha un problema di alcol che non deve essere trascurato”. Altro metodo è quello del ‘counseling breve’, un intervento di 5 minuti di sensibilizzazione che “permette di incrementare la consapevolezza dell’individuo sui rischi alcol-correlati, perché il concetto personale di moderazione differisce sempre dai minimi stabiliti da legge e sanità”. Per fare prevenzione, ha concluso Scafato, “dobbiamo ricordare un unico elemento: l’alcol è un tossico, un antinutriente e un cancerogeno e se si eccedono i 5 bicchieri il consumo passa dall’essere ‘consumo a rischio’ a ‘consumo dannoso’. Non è un caso che il picco di mortalità legato alla cirrosi epatica riguardi per il 60% la patologia come conseguenza di un consumo eccessivo, quando invece oggi, la causa virale è stata spiazzata”.


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