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In Russia nuove scuole per i bimbi nomadi dell’Artico

Si chiama 'Bambini dell'artico' la nuova iniziativa elaborata dalle autorità di cinque regioni artiche della Russia

Pubblicato:15-04-2017 10:38
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:07

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ROMA – Si chiama ‘Bambini dell’artico’ la nuova iniziativa elaborata dalle autorità di cinque regioni artiche della Russia, per promuovere l’educazione tra le comunità indigene nomadi.

La decisione è arrivata a conclusione dell’ultimo forum nazionale ad Arkhangelsk – nella Russia nord occidentale – e prevede anche il sostegno di Norvegia e Finlandia.

Ad asili nido e scuole elementari saranno forniti nuovi metodi e strumenti per migliorare e ammodernare il livello di insegnamento, “prendendo il meglio dall’esperienza sovietica e dalle pratiche internazionali”, come ha spiegato ai media russi Igor Barinov, capo dell’Agenzia federale per gli affari interni.


Il piano prende però principalmente le mosse da un progetto-pilota attivo da sei anni, ‘La scuola nomade’, attivato nella regione autonoma di Yamal. Questa penisola – che in lingua nenec significa ‘la fine della terra’ – va dalla dalla Siberia settentrionale fino al mare di Kara, molto al di sopra del Circolo Polare Artico. Qui esistono 22 realtà scolastiche sparse nella tundra artica. Diciassette “tende” che accolgono giardini d’infanzia, e cinque scuole elementari con oltre 200 iscritti, raggiunti direttamente dagli insegnanti. Questi possono scegliere di vivere nello stesso accampamento nomade dei pastori di renne, oppure di spostarsi ogni giorno usando i mezzi pubblici.

In passato i bambini a partire dai 7 anni d’età dovevano trasferirsi nei collegi, dove studiavano e vivevano, ma questo li obbligava a stare lontani dalle famiglie per nove mesi all’anno.

LE AREE COINVOLTE

Le cinque aree amministrative coinvolte nel progetto sono i due distretti autonomi di Yamal e Chanti-Mansi, gli stati di Komi e Sakha e infine la regione di Arkhangelsk.

Si tratta di regioni subpolari desertiche, in cui enormi tratti di terra sono ricoperti dalla tundra e dalla taiga. Gli spostamenti non sono affatto facili a causa del freddo intenso per la maggior parte dei mesi dell’anno. Qui abitano vari gruppi etnici indigeni (i Chanti, i Mansi, i Nenci, i Komi, gli Jakuti, solo per citarne alcuni) che nei secoli hanno sviluppato, oltre alla lingua e alle tradizioni, anche varie tecniche di sopravvivenza e una propria organizzazione sociale ed economica. La maggior parte vive di caccia e pesca, ma molti sono costretti a spostarsi di frequente per seguire al pascolo le renne.

LE NOVITA’

In un simile contesto “è importante mantenere nei programmi scolastici anche l’insegnamento della lingua, della cultura e delle tradizioni di questi popoli”, ha aggiunto Igor Barinov. Per questo i bambini in classe imparano a leggere e scrivere e studiano la matematica e la geografia, ma la vera novità consiste nell’apprendimento di quelle pratiche manuali fondamentali per chi vive in queste zone: la concia della pelle di cervo oppure la tecnica di cucitura delle pellicce. I piccoli vengono introdotti anche alla pesca e alla caccia.

Ma non mancano l’informatica e le nuove tecnologie. Le scuole nomadi dello Yamal sono fornite anche di una “tenda mobile multimediale”, in cui i bambini trovano “computer, proiettori e microscopi digitali”. Con queste materie “non abbiamo nessun problema”, ha confermato il dipartimento scolastico locale, dal quale osservano che questa nuova metodologia, più attenta alle esigenze dei bambini, può portare enormi benefici nella salvaguardia delle comunità native.

“Prima i genitori, se volevano fornire un’educazione ai loro figli, erano costretti a mandarli in istituti molto lontani per nove mesi all’anno. I bambini perdevano così i legami con la famiglia, avevano difficoltà ad adattarsi alla vita sedentaria e poi, col tempo, avevano il problema opposto, ossia rischiavano di non riuscire più a integrarsi nelle comunità originarie e alle pratiche tradizionali”.

Nel 2016 per la prima volta le Nazioni Unite hanno dedicato una conferenza internazionale sul tema dei programmi educativi previsti dai governi per le comunità native, in seno alla quale ‘La scuola nomade’ di Yamal – è il caso di dirlo – ha fatto scuola.

di Alessandra Fabbretti, giornalista

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