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Il grande deserto del Sud Italia: ‘bus day’ e calo nascite per uno spopolamento senza sosta

Dal Duemila i laureati in meno sono duecentomila, il 72,4% di chi parte ha meno di 34 anni

Pubblicato:15-01-2018 12:02
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:21

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ROMA – All’autostazione di Cosenza il 6 gennaio è stato il caos. Una folla di persone e auto si è ammassata nel buio di via Medaglie D’oro da dove, ogni anno, il giorno dell’Epifania centinaia di giovani calabresi salutano famiglia e amici per riprendere la via del nord a bordo di un autobus. Stessa scena a San Giovanni in Fiore, nell’entroterra cosentino.

Le foto, in un tam tam social nostalgico e a tratti rabbioso, sono rimbalzate in pochi minuti di profilo in profilo.

E hanno reso drammaticamente palpabile, in quello che da alcuni è stato ribattezzato il ‘bus day’, uno scenario che ormai da anni incombe sul futuro della Calabria e dell’intero Mezzogiorno: lo spopolamento.


I DATI

“Il Sud  non è più un’area giovane né tanto meno il serbatoio di nascite del resto del Paese, e va assumendo tutte le caratteristiche demografiche negative di un’area sviluppata e opulenta, senza peraltro esserlo mai stata”. Si legge così, nero su bianco, nell’ultimo rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno, presentato lo scorso 7 novembre a Roma. Un documento dove sono proprio i dati demografici a destare le maggiori preoccupazioni.

“Nel corso degli ultimi quindici anni- si legge nel rapporto- la popolazione meridionale è cresciuta di 265mila abitanti a fronte dei 3 milioni e 329mila nel Centro-Nord al netto degli stranieri, però, la popolazione del Sud è diminuita di 393mila unità (mentre è cresciuta di 274mila nel Nord)”.

Una crisi demografica confermata dal dato del 2016, anno in cui si è registrata una diminuzione della popolazione meridionale pari a 62mila unità, come l’anno precedente, in linea col trend negativo del 2014 (-21mila unità) e del 2013 (-31mila unità). Numeri che fanno il paio con la sostanziale stabilità della popolazione italiana al Nord, a cui ha contribuito l’apporto delle migrazioni dal Sud. Il calo della popolazione e della natalità (nel 2016 -166mila nuovi nati), secondo le previsioni Istat, implicherebbero per il Mezzogiorno, tra il 2016 e il 2065, una perdita di 5,2 milioni di abitanti, contro un calo previsto per lo stesso periodo al Centro-Nord di 1,8 milioni.

A rendere questi dati ancora più drammatici è la costante emorragia di risorse umane, spesso qualificate, che abbandonano il Sud per inserirsi in mercati del lavoro meno asfittici. Sono 1,7 milioni gli emigrati dal Sud negli ultimi 15 anni, con una perdita – al netto dei rientri (1 milione) – di 716mila unità, soprattutto giovani tra i 15 e i 34 anni (72,4%), mentre sono 198mila i laureati che hanno abbandonato il Mezzogiorno, circa 200mila dal Duemila. Perdita che, quantificata in termini economici, ammonta a circa 30 miliardi di euro.

LA STORIA DI SIMONA

I numeri, si sa, fotografano solo in parte la realtà, specie quella migratoria. Dietro a cifre e grafici di Svimez ci sono storie di trolley sempre pronti, di lacrime strappate salutando genitori, nonni e amici a bordo di un treno, di ‘pacchi da giù’ – gli stessi resi celebri dai videomaker napoletani di Casa Surace – che, con conserve, salumi e formaggi, disegnano dal Nord al Sud della penisola le mappe della nostalgia di casa. E c’è la storia di Simona, cosentina, 30 anni e una laurea in Economia all’università della Calabria, insegnante di ruolo in un liceo in provincia di Pisa, dopo un’abilitazione e tre anni di supplenze in giro per la Toscana. Simona il 6 gennaio era lì, all’autostazione di Cosenza, ad accompagnare il fidanzato, calabrese e insegnante pure lui, diretto a Torino con uno dei tanti autobus che affollavano il piazzale. Di lì a poche ore è partita anche lei, direzione Pisa, pronta a ricominciare un nuovo anno lontana da casa. “Sono tre anni che vado via il giorno dell’Epifania dall’autostazione di Cosenza- racconta all’Agenzia di stampa Dire Simona-. Il caos c’è sempre, ma quest’anno c’erano più persone, soprattutto ragazzi tra i 27 e i 30 anni, ma anche famiglie scese per le feste. Il clima è da rotta migratoria, ma la scelta dell’autobus è soprattutto legata alla comodità. In Calabria l’autobus sta sostituendo il treno perché collega i paesi periferici”.

Paesi dell’entroterra o della costa ionica, che sono isolati dalle ferrovie, ma che vengono raggiunti dagli autobus. Il mercato del trasporto su gomma, che copre tratte di media e lunga percorrenza, ha infatti subito, negli ultimi due anni, un’impennata a doppia cifra, come ha stabilito una recente indagine conoscitiva dell’Autorità dei trasporti (Art). Una crescita che risponde ad una forte espansione della domanda (15-18%), concentrata maggiormente, neanche a dirlo, al Sud, dove queste aziende medio-piccole hanno spesso sede. Servizi di pubblica utilità sempre più concentrati nelle mani dei privati, ma economici, laddove il pubblico ha smesso di investire, senza offrire però costi più vantaggiosi: “L’autobus da Pisa, se lo prendi in offerta, lo paghi 35 euro, il treno ne costa 60, se ti va bene- spiega Simona-. Volo spesso con Ryan Air, lo trovo a 19 o 29 euro quando scendo nei fine-settimana, sotto Natale non l’ho mai trovato a meno di 200 euro”. A coprire la tratta Cosenza-Pisa sono quindi nate tre ditte e, ogni giorno, un autobus sale mentre l’altro scende, trasportando soprattutto studenti universitari iscritti a Pisa o Firenze.


STUDENTI E INSEGNANTI: ECCO I NUOVI MIGRANTI MERIDIONALI

L’utenza principale degli autobus, anche nei fine settimana, è composta da studenti e insegnanti, soprattutto donne di mezza età, che per essere stabilizzate hanno deciso di mettere in gioco le loro certezze e di andare a prendere il ruolo nelle scuole del Nord, mentre in Calabria si perdono cattedre per il calo della natalità- sottolinea Simona- E le tasse dell’università di Pisa, dove mio fratello oggi studia, sono più basse di quanto pagavo io quando ero iscritta all’università della Calabria”. Milano, Torino, Pisa, Firenze, Bologna, Roma. Sono queste le mete più gettonate tra i giovani meridionali al momento della scelta dell’università: “Fino a qualche anno fa chi poteva rimanere a studiare in Calabria rimaneva, perché l’ateneo di Rende ha facoltà rinomate per la propria qualità, come Ingegneria o Economia- chiarisce Simona-. La mia percezione è che, invece, ultimamente ci sia stato un ritorno all’aspirazione di studiare al Nord da parte dei ragazzi, perché essendo difficile trovare lavoro si punta sulla scelta di un ateneo che offra più sbocchi post-laurea. Penso alla Bocconi, al Politecnico di Torino, alla stessa Pisa. L’indotto dell’Unical è meno ampio rispetto a questi atenei, non per la qualità dell’università, ma per il placement, cioè la probabilità di occupazione post-laurea”.

Quello che manca al Sud, secondo la giovane insegnante cosentina, è soprattutto il lavoro qualificato: “I miei compagni di classe lavorano tutti fuori dalla Calabria. Quelli che non lavorano fuori è perché si sono accontentati di essere occupati in settori diversi dal proprio percorso di studi, o perché hanno potuto proseguire la professione di famiglia. Oppure hanno accettato di lavorare in un call center a 300 euro al mese”. È negli autobus che i destini di studenti, insegnanti, e dell’intero universo dei nuovi migranti meridionali si incrociano. E oggi, come ai tempi delle valigie di cartone sulle frecce del Sud, il sentimento che prevale è la rassegnazione: “Quando siamo sull’autobus, soprattutto dopo le feste, sono tutti molto tristi, chiusi in se stessi. Si parla poco, al massimo ci si chiede ‘tu dove scendi’, ‘cosa fai’, ‘perché sei fuori’, ‘da quanto tempo’, e così via. Non si parla mai del perché non si ritorna, non ci si pongono domande. Non se ne parla perché la rassegnazione è l’unica barriera al dolore”.

Non rabbia per un’ingiustificata condizione comune, ma dolore individuale, nel lasciare gli affetti e la terra, nel sapere di non poter tornare a casa per restare: “Non vale la pena arrabbiarsi- riflette a voce alta Simona-. Il giorno dopo devi andare a lavorare, sistemare casa, perché la vita quotidiana la affronti in solitudine. A volte su questi autobus mi capita di sentire piangere le madri che sentono le loro bambine per telefono- ricorda emozionata-. Lì qualche lacrima scende, perché aprire con loro un argomento che è la causa della tua e della sua sofferenza?”. Si interroga Simona, ma poi dice che sugli autobus per il Nord “è meglio non pensare”, anche se non pensare ha un costo: “Quando mi pongo la domanda: ma cambierà mai qualcosa? Io mi dico che no, non cambierà. E quando me lo dico mi sento un po’ come il Don Abbondio descritto da Brunori Sas (cantautore calabrese, ndr): “Don Abbondio sono io affacciato alla finestra a guardare le macerie a contare quel che resta”.

https://www.youtube.com/watch?v=Do_H695KgsA

QUEL CHE RESTA

‘Quel che resta’ è il titolo dell’ultimo libro di Vito Teti, antropologo e professore ordinario all’Unical di Rende, da anni tra i più appassionati studiosi dello svuotamento dei paesi della sua Calabria. In un post su Facebook del 31 dicembre, corredato dalle foto delle nuvole che sovrastano le montagne all’orizzonte del suo paese del vibonese, San Nicola da Crissa, il professore de ‘Il senso dei luoghi’ scrive, augurando buon 2018 ai suoi amici virtuali: “I paesi non hanno più giovani capaci di affermare una nuova convivialità. Nei paesi nascono sempre meno bambini e quando diventano giovani fuggono altrove. Le case e le porte dove si bussava, adesso sono chiuse e vuote. Non mi avventuro in nostalgie sterili o in rimpianti inutili. Cerco di capire le nuove forme di convivialità e di accoglienza”. Nuove forme, che passano attraverso le andate e i ritorni sugli ‘autobus del sole’, di una generazione espulsa dalla storia della propria terra. La terra dei gattopardi, dove nonni e nipoti si trovano, apparentemente senza ragioni, a fare la stessa vita: quella dei ‘fuori sede a vita’’

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