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‘Mediterraneo’, graphic novel muto urla il dramma dei migranti

Rocca (Croce Rossa): "Un libro del silenzio anche per i giovani"

Pubblicato:14-05-2018 16:42
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:53

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ROMA – “Un giorno il Mar Mediterraneo, preso dalla vergogna per ciò che sta accadendo, decide di ritirare le sue acque e mostrare la verità: sul fondo, migliaia di corpi di migranti giacciono senza vita”. E’ l’idea da cui parte ‘Mediterraneo’, graphic novel edito da Round Robin e frutto della matita di Luca Ferrara. A presentarlo a Roma, alla sede della Stampa estera, l’ideatore del progetto, il giornalista Sergio Nazzaro. Il volume raccoglie un centinaio di tavole a colori, ma completamente mute, sul dramma delle morti in mare: 3mila solo nel 2017, secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). “Non servono parole per raccontare questa tragedia” dice Nazzaro: “E’ un ‘libro del silenzio’ che vuole porre dei dubbi”. La storia è quella di Amalia, una bambina che dopo aver perso tutta la famiglia in un bombardamento, insieme all’amico Giufà tenta di raggiungere l’Europa imbarcandosi dalla Libia, ma al posto dell’acqua, nel Mare Nostrum, “incontra solo sabbia e cadaveri: ciò che resta di quella che una volta era la culla delle culture, ossia un cimitero. E alla fine, al lettore viene lasciata una domanda: Amalia è davvero ciò che sembra?”.
“Abbiamo deciso di sostenere questo progetto perché sposiamo l’idea di fondo – spiega all’agenzia ‘Dire’ Francesco Rocca, il presidente della Croce Rossa italiana (Cri) nonché della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. La Cri è partner nella realizzazione del graphic novel. “Un fumetto ‘senza fumetto’ – prosegue Rocca – che lascia spazio alla forza delle immagini per rappresentare quella desolazione nel Mediterraneo a cui la comunità internazionale non è riuscita a trovare una soluzione”. Un linguaggio moderno quindi, adatto ai giovani “ma anche a chiunque voglia documentarsi rispetto a uno dei fenomeni più tragici degli ultimi decenni”.

La Croce Rossa: “Così ricostruiamo i legami di famiglia”

“Non solo le guerre, ma anche le migrazioni dividono le famiglie. Grazie al progetto ‘Restoring Family Links’ (Rfl) sfruttiamo le competenze e i contatti sviluppati in decenni di attività di Croce rossa e Mezza Luna Rossa nei teatri di conflitto, e attraverso lo staff presente in 190 Paesi del mondo, seguiamo il filo di quei familiari internati, detenuti, emigrati – pensiamo a quante partenze hanno provocato le guerre in Siria, Iraq o nel continente africano – per provare a riannodarli”. A parlare con l’agenzia ‘Dire’ è Francesco Rocca, presidente della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. L’intervista segue la presentazione a Roma del graphic novel ‘Mediterraneo’. Un’opera realizzata in collaborazione con Croce Rossa Italia, e un’occasione per Rocca per ricordare il progetto ‘Restoring Family links’ (Rfl), della Croce rossa internazionale: chi parte, scappando da conflitti e povertà, si lascia alle spalle i propri cari che spesso, a loro volta, sono costretti ad andarsene.


Tanti i nuclei familiari divisi, i legami spezzati: la distanza e le circostanze spesso lasciano le famiglie all’oscuro del destino di chi è partito. A tentare di dare una risposta prova appunto ‘Rfl’, a partire dalle segnalazioni delle persone che consegnano allo staff dell’organizzazione foto, nomi, date, storie. Sono 530 le richieste ottenute nel 2017, e 160 nei primi mesi del 2018. 

Numeri all’apparenza bassi, ma che hanno una spiegazione: “Spesso le persone, soprattutto se vivono in Paesi in guerra, hanno paura a chiederci aiuto“, spiega alla ‘Dire’ un responsabile di Croce Rossa Italia. “Un esempio sono gli eritrei. A volte invece capita che le famiglie di chi emigra, pronte ad attendere mesi, forse anni, prima di ricevere notizie da chi è partito, non si rendano conto che il loro parente ha perso la vita durante il viaggio”. Significativo allora il protocollo siglato a inizio mese dalla Croce Rossa con la Procura di Catania, che implementa il mandato di ‘Rfl’ per l’identificazione delle salme dei migranti recuperate in mare. Una collaborazione che si aggiunge a quella già stretta tra il Comitato Cri con Comune, Prefettura e Carcere etneo di Piazza Lanza, dove sono rinchiusi anche tanti stranieri. “Per ragioni di sicurezza, i detenuti possono ricevere chiamate solo da numeri fissi” dice Rocca. “La Croce rossa mette quindi a disposizione i propri telefoni per permettere ai familiari dei detenuti nei Paesi d’origine di parlare con chi sta dietro le sbarre. Molte famiglie vivono nell’angoscia, poiché non avendo più notizie dei loro cari li danno per morti”. Ma a volte basta un numero di telefono per ridare speranza a chi vive “drammi enormi”.

Cooperazione. Rocca (Croce Rossa): “Vi racconto le crisi più gravi”

“La crisi umanitaria che ci preoccupa di più nell’immediato è l’imminente stagione dei monsoni in Bangladesh per i rifugiati rohingya a Cox’s Bazar. E’ una delle crisi più pericolose perché le conseguenze dei monsoni possono essere terribili, e sono centinaia di migliaia le persone ammassate in alloggi di fortuna”, spiega Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa italiana (Cri) nonché della Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. Secondo Rocca, subito dopo viene lo Yemen, dove è ancora in corso “una vera e propria catastrofe: sono quasi un milione le persone che hanno vissuto le conseguenze del colera. Parliamo di una popolazione allo stremo per quanto riguarda l’accesso al cibo, alle cure, all’acqua potabile”. 

Tra le emergenze da non sottovalutare, il presidente della Cri ricorda il dramma dei migranti: sia quelli che confluiscono in Libia per raggiungere l’Europa, e che sono esposti a violenze terribili, ma anche i venezuelani che oltrepassano il confine con la Colombia per fuggire a una crisi economica che sta impoverendo gran parte della popolazione. Rocca annuncia che in entrambi questi Paesi potrebbe partire a breve una missione di osservazione. 

 Infine, il presidente della Croce Rossa cita le violenze subite dagli operatori umanitari nei teatri di conflitto. Gli attacchi ai presidi umanitari “in alcuni contesti sono diventati una tattica militare. Lo vediamo in Siria – dove sono 73 gli operatori Cri che hanno perso la vita – ma anche in Yemen, dove è una pratica perfino più strutturata. Ma accade anche altrove, ad esempio a Gaza: dei nostri operatori sono rimasti feriti mentre prestavano soccorso durante le manifestazioni al confine con Israele”, che hanno avuto luogo da fine marzo a oggi per protestare contro il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.

 “E’ sempre più difficile implementare le convenzioni internazionali – prosegue Rocca – mentre aumenta l’efferatezza delle azioni compiute. Come chi usa le ambulanze come auto bomba. Questo non solo crea tensioni enormi tra le comunità, ma è un fenomeno che non era mai accaduto prima con tanta intensità”. Secondo il presidente di Cri, quelle di oggi non sono guerre convenzionali, ma vi partecipano tante parti. “Per questo per noi è fondamentale incontrare i leader dei vari gruppi rivali” sottolinea Rocca: “Ci permette di spiegare loro cos’è il diritto umanitario e il diritto di guerra. Lo facciamo, anche a costo di attirarci critiche, poiché serve a spiegare il valore inalienabile della vita umana”.

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