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Ludopatia, “Da quel ronzino vincente, 40 anni di gioco d’azzardo”

La drammatica storia di Paolo, 65 anni, da sette fuori dal vortice del gioco grazie ai Giocatori anonimi di Bologna

Pubblicato:12-11-2016 14:27
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:18

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casino_gioco_azzardoBOLOGNA – Paolo ha 65 anni e ha iniziato a giocare quando ne aveva 21. All’ippodromo di Bologna, con pochi spiccioli, puntati su quel maledetto cavallo che non aveva mai vinto niente, ma che proprio quel giorno tagliò per primo il traguardo. E’ iniziata così una storia lunga quasi 40 anni tra cavalli, casinò, poker, dadi e bische, che ha portato Paolo a giocarsi il patrimonio di famiglia, quello dell’azienda, a perdere gli affetti e a mettersi in mano agli strozzini.

Da sette anni però Paolo ha smesso: grazie ai Giocatori anonimi di Bologna è riuscito a lasciare quello che era diventato “l’amore più grande della mia vita. Vincere o perdere non aveva più importanza, l’importante era giocare- racconta- avevo già i soldi, la mia famiglia era benestante, non ne avevo bisogno. Per me i momenti sublimi erano quelli della preparazione, non del gioco. Io godevo nel preparare le mie giocate, le mie giornate erano in funzione del gioco 24 ore su 24“.

Dall’alto della sua esperienza, Paolo mette in guardia. “Le cifre che si danno sono assolutamente sottostimate- avverte- è il gioco clandestino che dà il numero reale dei giocatori“.


Oggi “è peggio di 40 anni fa- aggiunge- l’offerta è molto più ampia, quindi c’è un bacino di utenza più alto”. In più, “una slot consuma una giocata in un attimo. Quindi quante giocate ti fai una dietro l’altra? La pericolosità è molto più consistente. Ai miei tempi ti concentravi su poche cose, adesso hai molte più situazioni, anche online“.

Inoltre, segnala Paolo, “una volta era interessata al gioco solo una certa fascia di popolazione. Adesso invece cominciano a 10 anni, anche se sulle slot c’è scritto vietato ai minori. Ci sono i bambini che comprano i gratta e vinci incitati dai genitori”. Senza dimenticare gli anziani, che “da una certa età in poi devono riempire il tempo e quindi giocano. Ma al gioco è matematico perdere”.

Paolo ha raccontato la sua storia questa mattina a Bologna, nella sede del Quartiere Santo Stefano, al convegno sul gioco d’azzardo patologico organizzato dall’associazione UmanaMente insieme all’Ausl. “Ho iniziato a giocare quando avevo 21 anni- è la testimonianza di Paolo- ho avuto la fortuna-sfortuna di appartenere a una famiglia molto benestante, per cui gli importi che nell’arco del tempo ho voluto consumare sono stati importanti. Ho iniziato coi cavalli, con pochi spiccioli, all’Ippodromo di Bologna: purtroppo abitavo di fronte e gli amici un pomeriggio mi invitarono. La prima mitica puntata fu di poche lire su un cavallo che si chiamava Mondo, che non vinse mai una corsa ma proprio quella volta, sfortunatamente per me, arrivò primo. E io da lì ho iniziato il mio percorso di giocatore”.

Paolo ha giocato “per 39 anni e ho smesso sette anni fa- ci tiene a sottolineare- in 40 anni ho attraversato tutte le possibilità che il gioco d’azzardo ti offre: cavalli, casinò, poker, dadi e bische. All’inizio era un divertimento, ma nel tempo si è tramutato in una malattia. Sono arrivato a livelli incredibili, parliamo di cifre davvero molto importanti. Finché ho potuto ho fatto fronte con le mie forze, poi ho cominciato a erodere il patrimonio della mia famiglia e della mia azienda. Sono arrivato al punto che non potevo più pagare gli stipendi dei miei dipendenti”.

Paolo racconta di aver “attraversato anni di disperazione, perché avevo due vite: quella reale, nel sottobosco, da giocatore; e quella fittizia, che dovevo far vedere alla mia famiglia e ai miei amici”.

Per mantenere un certo standard di vita, Paolo portava la famiglia in vacanza negli Stati Uniti, alle Seychelles o alle Mauritius. “Mangiavo con loro, a pranzo e a cena, come fanno tutti- ricorda- ma il mio corpo e la mia testa non erano assolutamente in quella realtà“. E aggiunge: “Io non ho cercato il suicidio. Ho cercato di lasciarmi andare, perché ero già morto. Non aveva più importanza per me il vivere o il non vivere”.

Arrivato a un certo punto, “quando le banche o gli amici non ti danno più credito”, Paolo si è rivolto agli strozzini. “E quando entri in questo vortice, sei arrivato alla fine della strada- spiega- allora ti rimane solo una cosa da fare: dire la verità. Ho perso la famiglia, tutti gli amici e sono arrivato sotto il fondo del barile. Mi rimaneva solo una strada: smettere di giocare“.

La moglie per fortuna “non mi ha abbandonato del tutto, mi ha messo in comunicazione con i Giocatori anonimi. All’inizio non ne volevo sapere, ero restio. Poi finalmente, dopo tante situazioni di disperazione totale, mi sono avvicinato. Ma la sofferenza è stata tanta, perché dovevo rinunciare all’amore più importante della mia vita, il mio vero compagno: il gioco. Ci ho messo diversi anni per capire che volevo davvero smettere di giocare”.

E adesso come vive? “Non ho più quello che avevo prima- spiega Paolo- e in vacanza non ci vado. Ma sono riuscito a mantenere la mia azienda, finirò di pagare le mie cose nel 2020 e alla sera quando vado a letto riesco a dormire. Sono in una situazione nuova: non mi interessano più le macchine, le Seychelles, l’aereo privato. Mi accontento di quello che ho. Ma vivo, non sopravvivo. Ed è la cosa più importante, perché anche a 65 anni si può dire: iniziamo a goderci finalmente la nostra seconda vita. Ecco, questo è Paolo”.

di Andrea Sangermano, giornalista professionista

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