NEWS:

Sgombero a Ponte Mammolo, Josè e la casa pulita che piacque a Papa Francesco

ROMA - Quello che resta della vita di Jose'

Pubblicato:12-05-2015 10:56
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:19

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

sgombero_ponte_mammolo_jpgROMA – Quello che resta della vita di Jose’ e della sua famiglia e’ una macchina, qualche vestito, una scatola piena di documenti e i giocattoli della sua bambina. Niente di piu’. Fino a ieri pero’ Jose’ aveva anche una casa: viveva con sua moglie, sua figlia di sei anni e altre tre famiglie dell’Ecuador nel campo abusivo “La Comunita’ della Pace”, vicino alla stazione romana di Ponte Mammolo. Con sacrifici avevano costruito delle piccole abitazioni in muratura, chiesto l’allaccio di luce e gas e preso la residenza lì. Una recinzione li divideva dalle baracche di legno e lamiera dove più di duecento migranti avevano trovato un rifugio. Le ruspe hanno raso al suolo ogni cosa: le foto, i mobili, la tv, la lavatrice. Tutto e’ andato perso per sempre. “Ci hanno dato meno di un’ora per portare via le nostre cose”, racconta con gli occhi rossi Jose’, arrivato in Italia tredici anni fa. Ha un regolare permesso di soggiorno e per lavoro presta assistenza ad un anziano. Guarda la sua casa distrutta, le aiole con i fiori che non ci sono piu’, il cancello abbattuto dove erano scritti i loro nomi e non si da’ pace: “Se ci avessero avvisati anche qualche giorno prima, ce ne saremmo andati spontaneamente, avrei trovato un altro alloggio per la mia famiglia”, racconta disperato. Invece, per distruggere sua la casa e’ bastata mezza giornata. “Alle dieci sono andato a prendere mia figlia a scuola per portarla dal pediatra. Mentre ero con lei, un amico mi ha chiamato e mi ha detto che stavano sgombrando il campo. Siamo corsi qui”. Le forze dell’ordine non hanno voluto sentire ragioni: “Ci hanno detto che dovevamo andare subito via. Quando gli ho chiesto perche’ non ce lo avessero comunicato prima, mi hanno risposto che dovevamo immaginare che prima o poi ci avrebbero cacciato”.

Per legge prima di effettuare uno sgombero forzato gli occupanti devono essere avvisati per avere il tempo di portare via i loro effetti personali e trovare un altro alloggio. Questa volta pero’ nessuno ha ricevuto alcun preavviso. “La mia bambina piangeva e voleva prendere i suoi giocattoli, non ce l’ho fatta a dirle di no”. racconta. “Avrei voluto salvare tante altre cose ma non ci sono riuscito”, racconta. “Mia moglie e’ ricoverata in ospedale per una malattia al polmone. Tra qualche giorno sara’ operata, ma quando la dimetteranno non so dove andremo. Ci hanno tolto anche il nostro cane, l’hanno portato al canile”. Per il momento sua figlia e’ ospitata da alcuni amici, mentre Jose’ ha passato la prima notte senza piu’ una casa al centro d’accoglienza Baobab di via Cupa a Roma. Centinaia di migranti, invece, hanno dormito sotto il cavalcavia della stazione. Tra loro anche tante donne e bambini piccoli appena sbarcati in Italia dalla Libia. Le altre famiglie che vivevano con Jose’ erano appena partite per un viaggio in Ecuador. “Erano riuscite a mettere i soldi da parte per tornare qualche giorno nel nostro Paese. Al loro rientro troveranno le loro case distrutte, non avranno piu’ niente”. Medu, medici per i diritti umani, che da anni assiste gli stranieri del campo di Ponte Mammolo, ha definito lo sgombero vergognoso. A febbraio papa Francesco, in visita alla parrocchia di San Michele Arcangelo di Pietralata, aveva bussato al cancello della famiglia di Jose’ e delle altre per salutarle. “Ci ha abbracciato e ci ha fatto i complimenti per come avevamo sistemato le nostre piccole case. Erano sempre pulite e in ordine. E invece ora non abbiamo piu’ niente, dobbiamo ricominciare tutto da capo. Non vogliamo carita’, ho sempre mantenuto la mia famiglia lavorando onestamente. Abbiamo solo bisogno di un posto dove vivere adesso”. (Maria Gabriella Lanza per Redattore sociale)

cane_famiglia_sgomberataENPA: PRESO IN CARICO IL CANE MATIAS – “Allo sgombero dell’insediamento abusivo di via delle Messi d’Oro nel quartiere Tiburtino (zona Ponte Mammolo) a Roma, erano presenti anche due Guardie Zoofile dell’Enpa di Roma supportate da un veterinario, che sono intervenute – su richiesta delle autorità – per gestire possibili situazioni di crisi legate alla presenza di animali”. Così l’Enpa in una nota.


“Sul posto, i volontari dell’Enpa hanno trovato soltanto un cane meticcio di cinque anni, Matias il suo nome, di proprietà di due coniugi di nazionalità ecuadoregna. L’animale, con tutte le vaccinazioni in regola, era in buone condizioni di salute, come peraltro confermato da una successiva visita del veterinario: curato e coccolato, Matias aveva come riparo una piccola casa di legno che gli aveva costruito il suo proprietario”, prosegue il comunicato.

“In attesa di conoscere la loro futura sistemazione i due coniugi, che ancora non sanno a quale centro di accoglienza saranno destinati, hanno chiesto ai volontari della Sezione Enpa di Roma di prendere in custodia il loro amico e di tenerlo almeno fino a quando la loro situazione non si sarà stabilizzata. Matias è stato quindi portato presso la struttura che l’Enpa gestisce alle porte della Capitale, a Castel Madama, dove gli è stato trovato un box tutto suo”.

“In una giornata così difficile per Roma e in particolare per il quartiere Tiburtino – commenta la Guardia Zoofila Maria Rita Martelli – sono rimasta estremamente colpita dalla cura e dall’affetto che i due coniugi hanno mostrato di nutrire da sempre per il loro ‘amico’. Da Matias i due si sono separati solo a malincuore con la speranza di riunire quanto prima l’intera famiglia sotto un nuovo tetto. Naturalmente faremo in modo che si possano incontrare anche presso il nostro rifugio di Castel Madama; per questo, un volontario ha dato la sua piena disponibilità ad andarli a prendere in macchina e a riaccompagnarli. Naturalmente, il nostro più grande auspicio è che tutti e tre possano al più presto tornare insieme”.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it