NEWS:

Inclusione, prima le barriere architettoniche ora quelle culturali

Castelbianco (IdO): Adulti in disagio e deleganti, studenti aggressivi o ‘etichettati’

Pubblicato:12-04-2017 13:57
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:06

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

ROMA – “In questi decenni i genitori di bambini con ‘handicap’ hanno lottato per abbattere le barriere architettoniche e sociali che dividevano i loro figli dal mondo, e negli ultimi mesi è stato dato molto risalto (giustamente) all’importanza dell’aiuto che riveste l’insegnante di sostegno per il bambino disabile”. Ne parla alla DIRE Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva e direttore dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) che da tempo è presente con sportelli di ascolto e supporto psicologico nelle scuole italiane.

“La richiesta è partita dai genitori ma è stata raccolta da tutti- precisa il direttore dell’IdO- dalla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli a tutti gli adulti, anche senza figli, che comprendono l’importanza di far vivere meglio e più serenamente la scuola, quale prima reale socializzazione e primo luogo di confronto di bambini svantaggiati  con coetanei e adulti estranei”.


LA LEGGE 104 DEL 1992

Il “primo grande risultato della scuola italiana è stato ciò che ha prodotto la legge 104 del 1992– precisa lo psicoterapeuta-, rompendo quell’isolamento e quella ghettizzazione che vivevano questi bambini. Mi ricordo che in alcuni Stati europei dove stavamo conducendo una ricerca nelle scuole, mi sottolineavano il valore dell’inserimento che era stato raggiunto in Italia”.

“Anche loro si stavano attivando, mi annunciavano che avevano svuotato gli istituti speciali e che nelle scuole normali avevano creato delle classi composte esclusivamente da bambini disabili. Ero attonito- prosegue Castelbianco- perché questo accentramento della disabilità mi sembrava una sottolineatura dell’emarginazione. Tuttavia, anche per le conquiste civili nei paesi civili c’è bisogno di tempo”.

Sono trascorsi tanti anni in Italia ed è possibile fare il punto sul processo d’integrazione reale nella penisola, ascoltando chi ha vissuto la scuola dalla parte del disabile.

 ‘LA SCUOLA A ROTELLE’

‘La scuola a rotelle’, il libro di Ileana Argentin e Paolo Marcacci, offre “sicuramente lo spaccato di una vita scolastica che ha posto in tutti gli ascoltatori, in occasione della sua presentazione, una sensazione di disagio. Abbiamo realizzato che siamo ancora lontani dal superamento di tutte le barriere”.

LEGGI ANCHE “Scuola a rotelle”, Ileana Argentin si racconta: “La mia vita da ‘carrozzata’”

“Da sottolineare che la ministra Valeria Fedeli- rimarca il direttore dell’IdO- è stata sempre presente e ha aspettato che terminassero di parlare tutti i relatori prima di esprimere il suo pensiero: con estrema sintesi ha indicato i risultati raggiunti,  ma anche la presenza di barriere culturali ancora presenti”.

 IL COMPORTAMENTO DEGLI ADULTI

“Gli adulti cercano di non mostrare il senso di fastidio- spiega lo psicoterapeuta- e il comportamento risulta essere ‘Noi non vediamo, così non siamo coinvolti’. Distolgono lo sguardo pensando di fare cosa ‘rispettosa’, ma questo gesto significa ‘Non ti tocco, non ti sfioro, e non per rispetto ma per non essere sfiorato’, come se fosse possibile  un contagio. Vi è una forma di paura e di inadeguatezza nelle relazioni con il soggetto e con il genitore del disabile“.

I PROBLEMI A SCUOLA

In “numerose occasioni abbiamo osservato che molti genitori di bambini ‘normali’, anche in modo velato vorrebbero che il bambino con l’handicap stesse in un’altra aula con l’insegnante di  sostegno. Spesso si lamentano che il loro figlio non venga seguito come ha ‘diritto’- rivela lo psicologo- a causa dell’inserimento di bambini e insegnanti  di sostegno”.

“Purtroppo troviamo a volte anche l’insegnante ‘frustrato’ nelle sue rigide ambizioni prestazionali che non vuole il disabile in classe. Paradossalmente, adesso, un’altissima percentuale di genitori di bambini senza disabilità- fa sapere lo psicoterapeuta- chiedono ed addirittura esigono una certificazione ‘dall’esperto’ di turno che attesti un qualunque disagio del proprio figlio. Succede per facilitarne la vita scolastica e di conseguenza anche la propria vita familiare, in quanto la certificazione attesta che non è sua la responsabilità del disagio (possibilmente genetico) del figlio, ma anzi dimostra che lui ne è consapevole e ha fatto il possibile. Per questo motivo ha delegato alla scuola la responsabilità di risolvere ogni problema del figlio. E siamo giunti cosi con certificazioni  attestanti disabilità diverse al 30% degli studenti e anche più, in ogni classe”.

I “genitori dei bambini normali- aggiunge Castelbianco-, affermano con veemenza che qualunque difficoltà presenti il proprio figlio la colpa è sempre della società, della vita, dei docenti, di altri compagni o addirittura della presenza di disabili”.

IL COMPORTAMENTO DEGLI STUDENTI

“I bambini adottano il modello adulto genitoriale per aggredire, berciando e mortificando con accanimento. La disabilità culturale non è nei ragazzi- ricorda lo psicoterapeuta dell’età evolutiva- siamo noi adulti ad indurla contagiandoli. Nel testo potete leggere la lettera di un bambino romano di 10 anni che dovrebbe perlomeno indurci a  una riflessione: il bambino con un qualunque disagio non è integrato, incluso nel senso vero del termine, perché non è accettato al livello inconscio. Non si tratta di una barriera architettonica o di tecnica didattica, ma di una vera e propria barriera culturale”.

UNA LETTERA DA UN BAMBINO DI QUINTA ELEMENTARE

“Io voglio scrivere questo testo per l’amico più diverso che ho. Si chiama John il nome è italiano ma il cognome è filippino. Io e lui siamo diversi in tante cose come essere di colore, scrivere in maniera diversa, avere gusti diversi per il mangiare o essere sensibili, timidi eccetera, ed è per questo che ho scelto lui perché John non è un bambino come quelli che cacciano via tutti e che comandano no! Assolutamente no!”

“Grazie per essere diverso da me”

“John è speciale perché se tu gli chiedi qualcosa lui subito ti guarda con felicità e tristezza come per dirti: ‘che bello che sei venuto per dirmi qualcosa’ e ancora lui ‘ti prego fammi giocare con te, tutti mi cacciano perché sono diverso da loro ma almeno tu aiutami fammi giocare insieme a te’. E tu risponderesti subito con un sì perché non si lascia mai un bambino da solo triste e soprattutto diverso da noi e io vorrei rispondere a John ‘GRAZIE PER ESSERE DIVERSO DA ME’. Gli risponderei così perché come si senti lui ogni giorno mi ci sento anche io e per questo se stiamo insieme non ci sentiremo più così ma felici tutti e due”. Il bambino si chiama Pietro Camilo.

di Rachele Bombace, giornalista professionista

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it