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Ddl Pillon, “Sindrome da Alienazione Parentale, uno spettro da scantinato della psicologia”

ROMA - In Italia, il recente Ddl Pillon 'Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità' e

Pubblicato:12-02-2019 12:29
Ultimo aggiornamento:12-02-2019 12:29
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libri_bambini
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ROMA – In Italia, il recente Ddl Pillon ‘Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità’ e collegati mostra in modo inequivocabile l’attacco ai diritti conquistati dalle donne e dalle minoranze in materia familiare. Esso non è un ‘incidente di percorso’, emendabile attraverso la discussione in Commissione Giustizia, ma rappresenta al contrario, con piena evidenza, la sostanziale coincidenza sul tema dei diritti tra le forze politiche che costituiscono oggi, in Italia, la maggioranza di governo. Parole chiave: divorzio, separazione, diritti dei bambini, diritti delle donne, bigenitorialità. E’ la sintesi dell’articolo pubblicato da Gabriella Ferrari Bravo, psicoterapeuta e mediatrice familiare, sulla rivista ‘La camera blu’ n.19 (2018) Gender Visions di cui riportiamo alcuni passaggi. Bisogna tornare a parlarne perché- puntualizza la psicoterapeuta nel suo articolo- il Ddl non è solo una proposta di legge ma ‘la’ proposta tout-court dell’attuale maggioranza di governo, composta da due forze politiche che fino al giorno prima delle elezioni sembravano in forte contrasto su molti temi concernenti l’area dei diritti. Invece, una volta raggiunto l’accordo politico per la formazione del governo, si sono attestate entrambe-sui temi dei diritti delle donne e dei minori, su un’unica line: la linea del ‘fronte-famiglia’. Presidiata da Lorenzo Fontana (Lega) che ha assunto l’incarico di Ministro della famiglia (al singolare) e delle disabilità (e, fin dal nuovo nome del dicastero è messo in chiaro il concetto che la disabilità è cosa che riguarda la famiglia, ergo le donne, e non il corpo sociale nel suo complesso). Noto per la sua attività di parlamentare europeo per proposte che hanno riguardato, in particolare la ‘difesa dei cristiani nei paesi a maggioranza musulmana’, ‘la cristianofobia e la protezione culturale dei beni culturali cristiani in Europa’ e ‘la necessità di assistenza specifica per i rifugiati cristiani’, il ministro Fontana ha sempre difeso la famiglia, definita come naturale, organica, tradizionale. Qualunque cosa ciò significhi. Nelle sue esternazioni sulla famiglia è evidente l’influenza di Don Vilmar Pavesi, sacerdote a Verona e consigliere spirituale di molti leghisti, che in una recente intervista ha dichiarato, per esempio, contro le donne: ‘In questa chiesa vengono solo uomini, perché le ragazze e le donne si sono molto adeguate a questo mondo e non vogliono andare controcorrente. E poi ci vuole uno sforzo mentale per seguire una messa in latino. I ragazzi con i libri in mano si trovano più a loro agio’. In ogni caso, fa drizzare le antenne al movimento delle donne nelle sue diverse componenti e sfumature, e preoccupa, l’adesione del ministro Fontana al Movimento Pro Vita, ad associazioni per l’abrogazione della legge 194, e le dichiarazioni sulle Famiglie Arcobaleno che, secondo il ministro ‘non esistono’- nel senso che non vanno considerate famiglie. Mesi fa, poco dopo essersi insediato, Fontana ha partecipato come d’abitudine alla Marcia per la vita del 19 maggio a Roma, affermando che l’aborto ‘è uno strano caso di ‘diritto umano’ che prevede l’uccisione di un innocente’, ritenendolo anche ‘la prima causa di femminicidio nel mondo’.

In Italia il senatore Pillon- prosegue la Ferrari Bravo nel suo articolo- è noto per le sue posizioni: del Family day, presidio contro i cambiamenti legislativi che hanno dato uguale dignità ai diversi modi di ‘fare famiglia’, ha più volte preso posizione contro il diritto all’autodeterminazione delle donne, proponendo, ad esempio, che sia vietata l’IVG alle ‘separande’, oppure dichiarando che ‘Una donna, la libertà di scelta ce l’ha prima di concepire una vita. Dopo c’è il diritto di un innocente a venire al mondo’.

Non credo si tratti solo di parole, ingiustificabili anche nel fuoco della polemica sul Ddl, ma dell’espressione coerente di un pensiero integralista da trasferire pari pari nella legislazione, e di un concetto proprietario dei figli. Perché solo le proprietà materiali (una casa, una somma di denaro, ma certamente non un figlio, che non è proprietà di nessuno) si possono dividere in due, come propone il Ddl presentato come la bacchetta magica di Merlino che risolverà ogni problema di separazione tra coniugi o conviventi con figli minorenni. Il Ddl entra nel diritto di famiglia, attraverso la regolazione delle relazioni tra i suoi membri, con un’astrattezza non sovrapponibile alle situazioni reali, e lo fa a partire da due equivoci: il primo, su che cos’è una famiglia e come sia possibile gestirla, con un regolo calcolatore alla mano, una volta costituita e anche in caso di separazione. È una lotta contro i mulini a vento, perché il variegato mondo familiare non potrà adeguarsi a ipotesi astratte né ai desideri degli estensori del Ddl. Il secondo equivoco è che la famiglia separata- sottolinea la specialista nel suo contributo- sia di per sé patologica. Le cronache, soprattutto la cronaca nera, e le ricerche scientifiche sono piene di famiglie unite che sembrano gironi infernali.


Il DDL- spiega la psicoterapeuta- s’intromette ossessivamente, dettando anche numero dei giorni di presenza con i figli (come se mantenere un rapporto affettivo fosse questione simile alla timbratura di un cartellino) e sistemi di contribuzione alle spese di mantenimento (pago in base al tempo che i figli passano con me, tutto il resto non mi riguarda), scalzando di fatto il sistema- famiglia dalle sue prerogative. L’effetto, purtroppo prevedibile, sarà l’aumento del rancore e dei contenziosi – in assoluto contrasto con l’interesse dei bambini. Il Ddl sembra anche ignorare che, se nel 2005 i figli minori affidati solo alla madre erano più dell’80%, nel 2015, a nove anni di distanza dall’entrata in vigore delle norme sull’affido condiviso, la percentuale era già crollata all’8,9%. Perché dunque scagliarsi contro la legge del 2006 (certamente migliorabile – e giacciono da anni numerose proposte legislative che, individuati i punti critici, suggerivano correttivi) e insistere sulla supposta ‘inesistenza’ dell’affido condiviso, come se questo fosse ancora un miraggio, in più avallando l’idea che le mamme siano favorite nelle separazioni? Si tratta di un’altra lettura fantasiosa ed errata della realtà, ma forse bisognerebbe dire in malafede, visto che, statistiche alla mano, sono le mamme, non i padri, i soggetti più impoveriti nella separazione.

‘La condizione economica delle madri sole è spesso critica: quelle in povertà assoluta sono l’11,8% del totale, a rischio di povertà o esclusione sociale sono il 42,1% e nel Mezzogiorno arrivano al 58%’, secondo i dati Istat relativi al 2016-2017. Non si vede, tra l’altro, che possibilità vi sia di applicare puntigliosamente una presunta parità degli obblighi economici quando, in Italia, il tasso di occupazione femminile è più basso della media europea (48,9% contro 62,4%, il più basso dopo la Grecia), con picchi negativi, ad esempio a Napoli, dove l’indice scende al 27,4%, il più basso d’Italia.

“PAS E’ COSTRUTTO FASULLO”

Infine- sottolinea nel suo articolo Ferrari Bravo- l’introduzione surrettizia nel nostro ordinamento della PAS sotto forma di alienazione genitoriale, è il punto più dolente del Ddl. La cosiddetta PAS o Sindrome da Alienazione Parentale– uno spettro che si aggira negli scantinati delle scienze psicologiche e che ogni tanto viene invitato a salire in in cucina a mangiare qualcosa per rimpolparsi, passando prima dalla stanza da bagno per togliersi da dosso le ragnatele- è un costrutto fasullo e rifiutato dalla comunità scientifica internazionale, ma da sempre utilizzato in ogni sede giudiziaria per intimidire e dissuadere le donne che denunciano violenze in famiglia. Donne che oggi, se entrasse in vigore il Ddl Pillon, e soprattutto il Ddl De Poli ad esso collegato, sarebbero ridotte al silenzio. Con danni certi per i bambini, se si stabilirà che si può allontanare un genitore o, peggio, collocare in comunità un minore quando ‘pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori’ quando il figlio manifesti ‘rifiuto, alienazione o estraniazione verso uno di essi’. Sarà il caso di introdurre la figura di Esperto in Trasmissione del Pensiero, per stabilire se e come un genitore abbia condizionato la volontà dei bambini. Ma leggiamo gli articoli che ne parlano. All’articolo 17, s’introduce una procedura inedita e sui generis in cui è possibile provvedere alla separazione forzata di un figlio dal genitore che si presume alienante ‘anche quando-pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori-il figlio minore manifesti comunque rifiuto,alienazione o estraniazione con riguardo ad uno di essi’ 9. Cioè a dire, senza che la denuncia di parte sia suffragata dalla minima evidenza e senza l’obbligo di ascolto del minore, prima di applicare la misura gravissima della sua separazione dal genitore con cui vive per essere affidato al genitore nei cui confronti manifesta grave disagio o a una casa famiglia. Il che vuol dire essere separato non solo dai genitori ma da tutta la sua famiglia, dalle sue relazioni e dal suo mondo (scuola in primis). Con il pretesto di valorizzare la bigenitorialità, la proposta lede, e gravemente, i diritti delle vittime di violenza messe di fatto in condizioni di tacere. Concludo- termina Ferrari Bravo nel suo articolo- citando il comunicato della Casa Internazionale delle Donne di Roma, in occasione di un incontro dello scorso ottobre, dedicato alla discussione attorno al disegno di legge: ‘Un finto e astratto egualitarismo dietro a cui si nasconde una visione della famiglia classista e sessista’. ‘Sono molte le questioni sollevate dal testo: la limitazione della libertà delle persone, gli ostacoli che pone per l’uscita da situazioni di violenza, l’approccio punitivo verso le madri, la bigenitorialità intesa soprattutto come diritto dei padri, la mancanza di attenzione al benessere dei/lle minori.’. La mobilitazione contro il Ddl Pillon continua attraverso i numerosissimi Comitati NOPILLON, presenti in centinaia di città italiane. E segnalo, in particolare la Rete delle donne contro la violenza, D.i.Re, che ha prodotto un documento di grande spessore culturale, esaminando punto per punto tutti gli abissali errori del Ddl e la sostanziale indifferenza al presunto ‘interesse superiore del minore’. Il ddl Pillon, che a molti è sembrato nascere dal nulla destando stupore e meraviglia, ha origini politiche di lunga data. (Brani da articolo di Gabriella Ferrari Bravo, Comitato DireDonne www.camerablu.unina.it)

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