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Storica dell’arte: “Nell’iconografia femminile l’intimità rubata”

La storia dell'arte offre innumerevoli esempi di iconografie, scelte compositive, narrazioni e contesti utili per approfondire il tema della diversità di genere e della violenza subita dalle donne

Pubblicato:11-12-2018 14:22
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:53
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ROMA – La storia dell’arte offre innumerevoli esempi di iconografie, scelte compositive, narrazioni e contesti utili per approfondire il tema della diversità di genere e della violenza- materiale e culturale- subita dalle donne. Non ci si sofferma abbastanza sulla rilevanza e sulla pervasività della rappresentazione artistica- tanto più attraverso il sistema della riproducibilità tecnica postulata da Benjamin- nella trasmissione di stereotipi e di comportamenti che sono alla radice della violenza, o meglio delle violenze di genere. Cosi’ Irene Baldriga, storica dell’arte e membro del Comitato DireDonne, nel suo contributo sul tema del linguaggio e del genere. 

Nella vasta congerie delle prevaricazioni e delle umiliazioni rivolte alla persona, non è da sottovalutare quella della violazione dello spazio privato, dell’intimità nascosta, di quella dimensione protetta e inaccessibile di cui ciascuno di noi ha bisogno per ritrovare se stesso, per recuperare serenità ed equilibrio di fronte al caos e alle ingiustizie della quotidianità.

Il patrimonio iconografico- spiega Baldriga- risulta eccezionalmente ricco e variegato e passa dalla raffigurazione di episodi mitologici (esemplare il caso della punizione di Atteone, trasformato da Diana in cervo per essere sbranato dai suoi stessi cani, poiché colpevole di aver profanato lo spazio della sua intimità) a passi biblici più o meno popolari, come Susanna e i Vecchioni, David e Betsabea, Giuditta e Oloferne. 


Il tema di Susanna e i Vecchioni (Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni, 1610, Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden, particolare)- prosegue la storica dell’arte- è una tipica raffigurazione di voyerismo, divenuta particolarmente popolare in età rinascimentale e barocca, sia in area protestante che cattolica. Protetta dal giardino della propria casa, Susanna incarna una figura casta e devota ma viene insidiata dagli istinti lussuriosi dei due anziani spioni; messa alla prova delle loro minacce, ella offre a Dio il proprio destino dichiarandosi innocente dalle accuse ingiuste di adulterio e per questo verrà premiata. E’ tuttavia rilevante il fatto che l’iconografia del soggetto si limiti sempre all’osservazione del corpo sensuale della giovane donna, senza minimamente alludere al prosieguo della narrazione biblica, né all’esito fatale che ne deriverà per i due manigoldi. 

E d’altronde, il soggetto ripropone una tematica già nota all’arte ellenistica. La Venere al bagno si offre come soggetto di osservazione indiscreta sul corpo femminile che diviene spunto di studio e di virtuosismo naturalistico per artisti come Prassitele (Afrodite Cnidia, IV secolo), secondo uno schema artista-soggetto femminile-raffigurazione che si riproporrà con costanza nella tradizione figurativa occidentale fino all’età moderna.La dimensione intima della vita delle donne diviene oggetto di osservazione e di conseguente violazione dello spazio privato -con o senza le implicazioni sessuali già descritte- che presuppone un’invasione e una violenza implicita, un travalicare lo spazio di confine che il modello della società androcentrica ha strutturato. 

Immagini sublimi- sotto il profilo dello studio psicologico, ovvero dell’atmosfera sospesa e della narrazione interrotta- come le donne intente nella lettura di una lettera o in attività domestiche dipinte da Johannes Vermeer- sottolinea Baldriga- possono apparire come semplici intrusioni indiscrete. Eppure, esse offrono comunque una interpretazione esclusivamente maschile della visione e dell’arte, un prospettiva di esterno-interno che pone la dimensione della vita femminile come contesto oggettivato, “altro” dalla familiarità di chi guarda.

E’ in questa tradizione culturale che si pone lo sguardo ossessivo di un pittore che è stato in verità celebrato per la presunta attenzione alla dimensione femminile: Edgar Degas. Le sue inarrestabili ballerine, dipinte e scolpite in ogni posa possibile, sono autentici oggetti di osservazione- puntualizza la storica dell’arte- come lo sono le sue lavoratrici, umilmente sorprese nella fatica di una manualità meccanica e incontrollata, nello sbadiglio involontario generato dalle ore trascorse sul ferro da stiro. Degas dichiarò più volte, in realtà, di considerare le donne come “degli animali”, simmetricamente a quanto affermato dallo scrittore Huysmans, il famosissimo autore di “A’ rebours”, per il quale le ballerine apparivano come “giraffe che non potevano rompersi, elefanti le cui articolazioni rifiutavano di piegarsi” (C.M. Armstrong).  Attratto dalle teorie evoluzionistiche di Darwin, Degas cercava nelle pose involontarie delle donne e nelle ardite piroette delle ballerine, evidenze motorie di un’affinità con il mondo animale. Non stupisce, quindi, che proprio un artista così sfrontato e- per certi tratti- perverso, abbia dipinto una delle più brutali rappresentazioni di violenza contro una donna indifesa. Il suo non troppo conosciuto “Le vol” è un dipinto del 1868-69 (Philadelphia Museum of Art) e raffigura, senza mezzi termini, la scena di uno stupro. L’uomo ben vestito che si appoggia alla porta è l’attore di un crimine già consumato ai danni della giovinetta semisvestita e umiliata. E’ stato giustamente osservato come il dipinto presenti una studiata quanto implacabile contrapposizione della dimensione maschile e femminile, avvalendosi di un preciso linguaggio simbolico: la carta geografica appesa alla parete che allude al viaggio e alla libertà maschile (ma che, aggiungo io, riprende anche la tradizione della pittura d’interno olandese, in cui spesso la donna assorta nella lettura è accompagnata da una raffigurazione cartografica che suggerisce un amore lontano); gli strumenti del cucito- conclude Baldriga- che qualificano lo status modesto della fanciulla e la sua condizione di sottomissione senza speranza.

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