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Mafie, al Comune di Genova primi beni del clan Canfarotta

 GENOVA - Un albergo diffuso tra vico Rosa, vico Pepe

Pubblicato:11-07-2016 13:56
Ultimo aggiornamento:11-07-2016 13:56

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beni_genova1 GENOVA – Un albergo diffuso tra vico Rosa, vico Pepe e vico Portanuova, nel sestiere della Maddalena, con un investimento complessivo di 1,7 milioni di euro. E’ questa la prima di sette linee di intervento progettata da Ire – Ri. Genova nell’ambito dello studio comminato dal Comune di Genova per la riqualificazione dei beni Canfarotta, confiscati definitivamente nel febbraio 2014 con l’operazione “Terra di Nessuno” della Dia balzata agli onori delle cronache nell’estate 2009. Si tratta della più grande confisca del nord Italia per un valore di circa cinque milioni di euro, per 115 beni, di cui 96 insistenti sul territorio genovese e attualmente di proprietà dello Stato nell’ambito dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati (Anbsc).

Il 78% di questi è situato in centro storico, con punte fino al 100% per negozi e magazzini: a essere interessato è, in particolar modo, il sestiere della Maddalena con il 55% dei beni confiscati presenti nel centro storico, il 43% del totale e ben due terzi delle abitazioni. Ed è proprio sul sestiere che si concentra lo studio presentato oggi dal Comune in commissione: non sono stati presi in esame tutti gli immobili ma solo 42 unità alla Maddalena e altre quattro in piazza delle Erbe. Cinque le diverse finalità individuate per le riqualificazioni: magazzini, usi temporanei, laboratori, usi per i residenti; commercio, servizi, uso associativo; residenziale sociale o specialistico, soprattutto per studenti; uffici; ricettività diffusa.                                                                                                

Oltre ai 14 beni che andrebbero a costituire il già presentato albergo diffuso, lo studio prevede: riqualificazione di sette locali a piano beni_genova3terra, prevalentemente magazzini e fondi commerciali, per 350.000 euro; tre appartamenti più un magazzino in vico Gattagà 5, per 410.000 euro; quattro appartamenti in vico Angeli 7, per 404.000 euro; tre appartamenti in vico Chiuso degli Eroi per 215.000 euro; altri due lotti rispettivamente di otto e sei alloggi sparsi in centro storico per 1,1 milioni di euro complessivi. Secondo la legge 109/96, i beni sequestrati alle mafie e alla criminalità organizzata possono essere restituiti alla collettività per finalità istituzionali o sociali, in via prioritaria, attraverso il conferimento al patrimonio del Comune in cui sono collocati. Gli enti territoriali possono, poi, decidere di amministrare direttamente i beni o assegnarli in concessione, a titolo gratuito e nel rispetto dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità e parità di trattamento, a comunità, enti, associazioni, organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti. “Il processo di restituzione alla collettività dei beni confiscati- sottolinea l’assessore a Legalità e diritti del Comune di Genova, Elena Fiorini- sconta una complessità giuridico-normativa che lo rende lento e farraginoso”. Processo reso ancor più ad ostacoli dallo stato di estremo degrado dei beni e degli immobili in cui sono collocati e che, di conseguenza, necessitano di onerosi interventi di ristrutturazione di cui il pubblico non può farsi carico, quantomeno interamente.


Numerose sono state le associazioni del territorio intervenute in commissione che, da anni ormai, si interrogano su come poter restituire il prima possibile ai cittadini questi spazi e che denunciano come alcuni immobili siano ancora abusivamente occupati da familiari e persone legate alle famiglie mafiose Canfarotta-Lo Re.

beni_genova2“Non ha senso che restino in capo alla comunità i costi di questi beni che non vengono assegnati- accusa Christian Abbondanza, presidente della Casa della Legalità- bisogna rovesciare la logica dei beni confiscati: o sono utilizzati per attività istituzionali e, allora, ci sta che l’ente pubblico intervenga direttamente con la ristrutturazione, oppure l’ente pubblico non deve sovvenzionare né dare contributi alle associazioni e ai privati a questo scopo, altrimenti si creano sacche di interesse perverso che fanno rovesciare anche le realtà più belle dell’antimafia. Stabiliamo che non vengano dati contributi a chi gestisce il bene: l’antimafia sociale si fa senza soldi pubblici”. Per rendere concreto un coordinamento tra le associazioni e gli enti pubblici, nelle prossime settimane si riunirà il nucleo di supporto per l’assegnazione dei beni presso la Prefettura, come previsto dalla legge. Intanto, già entro la fine del mese di luglio, annuncia l’assessore Elena Fiorini, potrebbe arrivare “la prima delibera da parte del Comune di Genova per richiedere l’assegnazione di una parte dei beni all’Anbsc nell’ambito di una strategia che tutta la città svolge assieme per l’acquisizione dei beni”. Si tratterebbe di una prima decina di immobili, quelli il cui costo di ristrutturazione risulta più contenuto.

di Simone D’Ambrosio, giornalista

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