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Dall’Italia musicoterapia nei campi profughi palestinesi in Libano

BOLOGNA – “Siamo alla quarta generazione di rifugiati.

Pubblicato:11-05-2016 12:39
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:42

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BOLOGNA – “Siamo alla quarta generazione di rifugiati. Non ha più alcun senso parlare di emergenza: serve investire in competenze. Perché i profughi palestinesi che vivono nei campi in Libano hanno diritto al ritorno alla propria terra, certo. Ma hanno anche diritto al ritorno alla libertà, alla dignità”: Deborah Parker, musicista e musicoterapista, dirige a Montespertoli, in Toscana il programma di community music di Prima Materia, ed è la coordinatrice del progetto di cooperazione internazionale “Music and Resilience”, che si occupa di sviluppare interventi di musicoterapia nei campi dei rifugiati palestinesi del Libano.

“Music and Resilience” è nato da una richiesta specifica di Beit Atfal Assumoud, ong costituita nel 1976 per far fronte all’emergenza delle migliaia di giovanissimi profughi palestinesi resi orfani dalla guerra civile in Libano. “Ci hanno chiesto di introdurre la musicoterapia nelle cliniche di salute mentale dei Fgc, i Family guidance centres, centri di consulenza per le famiglie – ricorda Parker –. Assumoud è stata la prima ong a occuparsi anche di salute mentale. Oggi porta avanti 5 cliniche, con un team di psicologi, pedagogisti e assistenti sociali, e nel 2011 ha coinvolto anche noi. Ma quando siamo nei campi non facciamo ‘solo’ corsi: ci occupiamo di formazione, aspetto altrettanto importante”. La domanda da cui Parker parte è: “Una volta che noi ce ne saremo andati, cosa succederà alle persone con cui abbiamo lavorato? Per questo formiamo educatori che possano proseguire i nostri progetti quando noi non ci siamo, e chiediamo ai nostri partner di investire in figure locali: uomini e donne palestinesi, sono loro che vogliamo coinvolgere. Non è semplice, considerati i pochi diritti di cui godono”.


Quanto alla parola “resilience”, si tratta di una diretta citazione di Assumoud, che in arabo significa proprio “resilienza”: in un contesto socio-politico precario che minaccia l’equilibrio psico-fisico delle persone e della comunità, essere resilienti indica la capacità non solo di sopravvivere, ma soprattutto di salvaguardare un senso di identità. “Resilienza significa essere in grado di adattarsi a un ambiente senza perdere di vista il ‘progetto d’origine’”, sintetizza Parker.

profughi siriaDopo la guerra israeliana del 1948, in Libano sono nati 15 campi profughi palestinesi, per un totale di circa 100 mila palestinesi accolti. “Hanno mantenuto i nomi dei loro paesi e delle loro vie, le loro tradizioni, il loro abbigliamento e il loro cibo. In pratica, hanno spostato un pezzo di Palestina in Libano”, spiega Dario Gentili, antropologo colonna del progetto. Oggi i campi sono 12, 3 sono stati rasi al suolo, e ospitano 400mila profughi palestinesi, che non hanno diritto allo stato sociale, che non possono svolgere le professioni che prevedono una formazione, che non hanno accesso all’istruzione e alla sanità pubbliche. “Questo perché la società libanese è strettamente confessionale: i ruoli più importanti sono ricoperti da cristiani maroniti. Al secondo gradino ci stanno i musulmani sciiti e sunniti. I palestinesi sono quasi tutti sunniti: se anche a loro venissero riconosciuti i diritti dei libanesi, le tre confessioni non sarebbero più in equilibrio”. E se all’inizio di quei diritti mancanti se ne occupava Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi del Vicino Oriente, oggi i fondi a disposizione sono sempre meno. Ed è a questo punto che arrivano Assumoud e le altre ong che fanno quello che l’Onu non riesce più a fare: curare i servizi sanitari, quelli scolastici, per esempio.

Oggi il Libano conta circa 4milioni di abitanti, a cui si aggiungono 400 mila profughi palestinesi e un milione e 200 mila rifugiati siriani. In pratica, una persona che vive in Libano su 3 è un rifugiato: “Noi facciamo musica per i palestinesi lì da 70 anni e per i siriani arrivati di recente – continua Gentili –. Ne approfitto anche per lanciare un appello: tutto il nostro lavoro è su base volontaria. Perciò, chiediamo una mano sia per la raccolta fondi sia per il reperimento di strumenti musicale da portare nei campi. Strumenti rigorosamente usati, magari coperti di polvere in una vecchia soffitta. Strumenti richiedenti asilo, insomma”.

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