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Myanmar, l’esercito ammette: “Militari hanno ucciso civili Rohingya”

Dopo mesi di silenzio sulle violenze ai danni dei rohingya, l'esercito birmano ha ammesso le responsabilità dei militari

Pubblicato:11-01-2018 15:52
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:20

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ROMA – Dopo mesi di silenzio sulle violenze ai danni dei rohingya, l’esercito birmano ha ammesso che dei militari sono responsabili della morte di alcuni civili in un villaggio dello stato di Rakhine. I fatti risalirebbero a settembre scorso.

Nel messaggio, diffuso sul profilo Facebook del Comando generale, si legge: “Due abitanti del villaggio di Inn Din e alcuni membri delle forze di sicurezza hanno ammesso di aver ucciso dieci persone” definite poi “bengalesi”, a conferma della decennale posizione dell’Esercito sulla minoranza etnica dei rohingya, a cui non viene riconosciuta la nazionalità birmana.

Da anni ai rohingya vengono infatti negati i diritti, in quanto considerati immigrati irregolari dal vicino Bangladesh.


Da fine agosto sono riscoppiate le violenze nello Stato di Rakhine, che hanno spinto oltre 650mila persone a lasciare il Paese.

Molte organizzazioni internazionali hanno denunciato la situazione, e l‘Onu ha persino parlato di un “genocidio” in atto ai danni dei rohingya da parte dei militari, che fino a ieri avevano motivato gli interventi armati come “necessari” per sradicare gruppi armati terroristi.

AMNESTY: ESERCITO AMMETTE STRAGE ROHINGYA, MA NON BASTA

“Questa macabra ammissione costituisce una profonda presa di distanza rispetto alla politica sin qui seguita dall’esercito di Myanmar di negare ogni responsabilità. Si tratta tuttavia solo della punta dell’iceberg”. Così in una nota James Gomez, direttore per l’Asia sudorientale e il Pacifico di Amnesty International, commenta l’ammissione di ieri da parte dell’esercito birmano di responsabilità di alcuni soldati nell’uccisione di 10 civili di etnia rohingya.

Ora occorrono indagini serie e indipendenti sulle atrocità commesse- continua- nel corso della campagna di pulizia etnica che, dall’agosto 2017, ha costretto oltre 655.000 rohingya a fuggire dallo stato di Rakhine”.

“La giustificazione contenuta nell’ammissione, ossia che i soldati presenti nel villaggio erano stati richiamati altrove e non sapevano cosa fare dei 10 uomini arrestati, è sconvolgente e testimonia un inconcepibile disprezzo per la vita umana“, ha proseguito Gomez.

“Amnesty International e altri hanno presentato prove schiaccianti sugli omicidi e gli stupri dei rohingya e sui roghi dei loro villaggi che vanno ben oltre quanto accaduto a Inn Din. Si tratta di crimini contro l’umanità i cui responsabili devono essere portati di fronte alla giustizia”, ha sottolineato Gomez.

“La reale dimensione delle violazioni e dei crimini commessi contro i rohingya e altre minoranze di Myanmar resterà sconosciuta fino a quando alla Missione di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite e ad altri osservatori indipendenti non verrà consentito pieno accesso in Myanmar, soprattutto nello stato di Rakhine”, ha concluso il responsabile Amnesty, organizzazione che ha condotto varie ricerche sui recenti fatti in Rakhine da fine agosto scorso.

Secondo l’Ong, tali indagini “hanno evidenziato le forze di sicurezza di Myanmar hanno lanciato una campagna mirata di violenze contro la popolazione rohingya”.

Inoltre grazie alle immagini satellitari commissionate, Amnesty International ha osservato che “nel villaggio di Inn Din solo le abitazioni dei rohingya sono state distrutte dalle fiamme mentre le altre sono state lasciate intatte”.

Gli abitanti del villaggio hanno infine raccontato che “alla fine di agosto, militari e gruppi di vigilantes hanno fatto irruzione nel villaggio saccheggiando e incendiando abitazioni e uccidendo i rohingya in fuga, soprattutto uomini“.

“L’organizzazione per i diritti umani non è stata in grado di determinare il numero degli abitanti del villaggio uccisi“, conclude la nota.

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