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Mauritania, il candidato antischiavista denuncia: “Voto criminale, Ue sveglia”

Yacoub Diarra era candidato con il movimento abolizionista Ira

Pubblicato:10-09-2018 15:57
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:32
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ROMA – “Il mondo libero forse non sa che c’è un Paese che gestisce così le elezioni…” Si indigna Yacoub Diarra, parlando al telefono con l’agenzia ‘Dire’ dalla capitale mauritana Nouakchott. Diarra è nato nel 1979 da padre bambara e madre di etnia haratin, la discriminata comunità nera di Mauritania. Alle elezioni legislative e regionali del primo settembre si è candidato con il movimento abolizionista Ira, che lotta contro un sistema schiavistico ancora radicato nel Paese, e che opprime anzitutto gli haratin.

“Sono stato sorpreso quando, nella città di Zouerate, dove ero candidato, mi è stato impedito di votare, perché a detta del personale amministrativo non potevo avere la tessera elettorale” racconta Diarra. “Se fosse successo a un cittadino qualunque avrebbe anche potuto essere un errore, ma nel mio caso sembra evidente che si tratta di un’operazione politica“.

Il leader del movimento antischiavista in cui milita Diarra, il vincitore del premio Onu per i diritti umani nel 2013, Biram Dah Abeid, è detenuto dal mese scorso sulla base dell’accusa di un giornalista per “incitamento all’odio”. “Nessuno può fargli visita, è trattato come un criminale” accusa Diarra. “E questa storia del giornalista è solo una montatura”.


“Nella zona di Zouerate, Mohammed Ould Abd El Aziz, il presidente della Repubblica in carica (al potere dal 2008 con un colpo di stato, ndr), è venuto a fare campagna elettorale per il suo partito, l’Upr” dice Diarra. “Per la sua propaganda sono stati utilizzati soldi pubblici e proventi della Snim, la società nazionalizzata che gestisce le risorse industriali e minerarie”.

Ma non sono solo gli oppositori a denunciare irregolarità nel processo elettorale in Mauritania. Diverse voci sul campo sono state sentite dalla stampa nei giorni scorsi, e molte lamentavano difficoltà nel trovare i loro seggi e nel compilare le schede elettorali.

Secondo i dati ufficiali, pubblicati, tra le polemiche, otto giorni dopo il voto, l’affluenza è stata del 73,44%. L’inesperienza degli scrutatori, unita a complicazioni legate al maltempo e alla complessità del sistema di voto, con cinque schede diverse e due sistemi di attribuzione dei seggi, hanno però fatto sì che 520mila schede su due milioni e 700mila fossero da invalidare. “E questo è un Paese aiutato dall’Unione Europea e dall’Unione Africana a organizzare le elezioni” accusa Diarra. “Diritti umani, leggi internazionali, norme costituzionali: non hanno rispettato niente“.

Sollecitata dalle opposizioni, Bruxelles quest’anno non ha inviato alcuna missione di monitoraggio sulle elezioni, lamentando la mancanza di tempo e di un accordo con le autorità locali. Tra il 2016 e il 2018, ha comunicato l’Ue, “circa 2700 partecipanti delle amministrazioni mauritane hanno beneficiato di importanti programmi di formazione per rinforzare l’efficienza della macchina pubblica”. L’Unione Africana ha invece organizzato una missione di osservazione, al termine della quale ha riferito che “lo scrutinio si è svolto in pace, calma e serenità”. Secondo l’organismo, “le imperfezioni organizzative non sono state tali da intaccare la credibilità del voto”. In parlamento, l’Upr si è aggiudicata la maggioranza relativa, con 67 seggi su 157. Alle regionali, un secondo turno è previsto sabato prossimo: l’Upr si è già assicurata quattro regioni, ma nelle altre 13 l’opposizione si è coalizzata e appare pronta a dare battaglia.

 

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