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Centrafrica, non solo cinema: a Bangui c’è l’Italia e cresce

Il Festival du Film Europeen en Centrafrique è una rassegna senza precedenti che sarà ospitata e promossa dall'Alliance francaise da questa sera fino al 15 giugno a Bangui e in provincia

Pubblicato:10-05-2019 09:06
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:26

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BANGUI – Un viaggio nel cuore dell’“impenetrabile”, come i conquistadores spagnoli chiamavano le foreste del Chaco del Paraguay, per raccontare la lotta contro la deforestazione e per i diritti delle comunità. Immagini che scorreranno sul grande schermo, non in un cinematografo latinoamericano ma dall’altra parte dell’Oceano, a migliaia di chilometri di distanza, nel cuore dell’Africa dove le foreste si chiamano ‘brousse’ e le risorse sono pure immense.

Nel Chaco, al tempo del dittatore Alfredo Stroessner, le radure fecero spazio alle trivelle. Nella Repubblica Centrafricana, dove ‘El Impenetrable’ sarà proiettato questo mese, a far gola non sono solo i giacimenti di greggio ma anche quelli di uranio e di diamanti.

Il docufilm, firmato dai registi italiani Fausta Quattrini e Daniele Incalcaterra, in viaggio insieme con un amico ornitologo per capire e denunciare, è uno dei lungometraggi italiani in cartellone al Festival du Film Europeen en Centrafrique: una rassegna senza precedenti che sarà ospitata e promossa dall’Alliance francaise da questa sera fino al 15 giugno a Bangui e in provincia.


“Attraverso 17 opere europee e centrafricane saranno raccontate le storie dei giovani, delle donne, storie di resistenza e di vita insieme” sottolinea l’ambasciatore Samuela Isopi, responsabile della delegazione dell’Unione Europea a Bangui.

Il Festival è frutto di una collaborazione con realtà locali e internazionali, con il contributo dei creativi del Collectif realisateurs centrafricains e del Cinema numerique ambulant. Undici film sono produzioni locali, gli altri sono lungometraggi firmati da registi francesi e svedesi, italiani e spagnoli. Secondo gli organizzatori, la rassegna è solo uno dei segni di un impegno dell’Ue che sta crescendo, affiancando e rafforzando le speranze suscitate a Bangui – pur tra cautele e difficoltà – dagli ultimi accordi di pace. Ex colonia francese, cerniera tra il Sahel e il Congo, la Repubblica Centrafricana è stata travolta nel 2012 da un conflitto civile che ha provocato in pochi mesi migliaia di morti e oltre un milione di sfollati.

Prima ci sono stati i saccheggi e le stragi dei ribelli della Seleka, un’alleanza nata nelle regioni a maggioranza musulmana ai confini con Ciad e Sudan, poi la controffensiva e le nuove violenze degli Anti-balaka, le cosiddette milizie cristiane, spesso bantu e del sud. Gli accordi di pace, tra alcune delle fazioni armate e il governo del presidente Faustin Archange Touadera, un professore universitario eletto alla guida del Paese nel 2015, sono stati siglati a febbraio e marzo scorsi nella capitale sudanese Khartoum e in quella etiopica Addis Abeba.

Le intese sono state favorite dall’Onu e dall’Unione Africana, e sono monitorate dall’Ue sia sul piano politico che con interventi in apparenza slegati dai negoziati ma decisivi per la tenuta sociale. L’Europa, appunto. Il riferimento che a Bangui vedi di continuo, sui cartelloni sul ciglio delle strade, accanto all’ingresso dei centri sanitari o tra i padiglioni del Complexe Pediatrique, l’ospedale specializzato dell’Università, è il fondo fiduciario Bekou. Una parola che non è stata scelta a caso: in lingua sango vuol dire ‘speranza’. Nel concreto, solo al Complexe, nei prossimi tre anni significa stanziamenti per quattro milioni di euro e soprattutto l’accompagnamento al personale locale nel lavoro quotidiano e sul piano della formazione.

“Alle emergenze di questo Paese vogliamo dare risposte concrete” spiega Isopi, allargando lo sguardo oltre la capitale. “Con il contributo di Stati membri come Francia, Germania, Olanda e Italia, ai quali si è aggiunta la Svizzera, finora oltre tre milioni di centrafricani hanno potuto beneficiare di cure di qualità sia qui nella capitale che in zone remote, ancora instabili o in fase di stabilizzazione”.

L’intervento non riguarda però solo il diritto alla salute. Chi conosce la Repubblica Centrafricana sottolinea che il Bekou è la principale risorsa finanziaria affinché nel Paese sia possibile pagare i salari. Si tratterebbe di una sorta di assicurazione sulla vita, senza la quale sarebbe impossibile andare avanti e ogni coesione sociale andrebbe ancora e semplicemente in frantumi.

Si spiegano in questo modo i contributi messi a disposizione dal governo italiano, una novità assoluta degli ultimi anni: sono veicolati attraverso un ufficio dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) inaugurato a Bangui nel 2015, a pochi metri dalla cattedrale, la stessa dove il 29 novembre di quell’anno Papa Francesco aprì la Porta santa del Giubileo della misericordia. Con l’agenzia ‘Dire’ ne parla Vincenzo Racalbuto, direttore di Aics Khartoum, la sede regionale dalla quale dipendono gli interventi nella Repubblica Centrafricana. L’assunto è che oggi, fatta salva la rilevanza francese, “ad avere un ruolo strutturale e decisivo è l’Ue nel suo complesso”.

Al Bekou l’Italia sta contribuendo con circa tre milioni di euro anche attraverso la realizzazione di un primo progetto di tre milioni e 700mila euro in ambito sanitario finanziato dal fondo stesso: l’iniziativa Recard, che vuole rinforzare le capacità delle equipe sanitarie nelle regioni e nei distretti della Repubblica Centrafricana. Grazie ad Aics, aggiunge Racalbuto, vi sono poi i servizi al Complexe Pediatrique affidati a Medici con l’Africa Cuamm, una ong padovana subentrata dopo cinque anni a Emergency grazie a un intervento ponte dell’Agenzia per l’acquisto di medicine e stock per un valore di 500mila euro. Secondo Racalbuto, al di là delle cifre contano l’approccio e la linea, che devono restare tanto più coerenti quanto più il contesto è segnato dall’instabilità e dalla difficoltà nell’immaginare interventi a medio e lungo termine.

‘Con i nostri programmi di emergenza abbiamo cercato di creare una sorta di fidelizzazione, con piccoli interventi sia a Bangui che fuori città per costruire un dialogo costruttivo e partecipativo” sottolinea Racalbuto: “Si tratti di consegnare banchi in una scuola o farmaci in un centro sanitario, accogliendo anche richieste che arrivano da organizzazioni centrafricane’. Il risultato è una rete, che coinvolge le istituzioni locali, a livello di municipalità e di governo, senza dimenticare le ong e il mondo missionario, che ha una presenza vitale e su vari fronti. Ad Aics arrivano allora tante richieste: si va dalle scorte di farmaci per i dispensari al materiale scolastico per garantire continuità nell’istruzione di molti ragazzi. Il valore aggiunto di una presenza assidua dell’Agenzia nella Repubblica Centrafricana è dunque assicurare un dialogo costante con le autorità Locali – anche di alto livello – a garanzia dell’indispensabile sostenibilità e ownership degli interventi della Cooperazione italiana. Verso questo scopo convergerebbero tanti progetti, non solo a Bangui. 

“Miglioriamo la connettività per rafforzare gli scambi, la resilienza e la pace” ha scritto in settimana Isopi, dopo la visita ai primi ponti realizzati grazie ai finanziamenti del fondo Bekou nella Lobaye. È percorrendo questa strada, da Bangui in direzione della Repubblica del Congo e del Camerun, tra tappeti di manioca messa a essiccare al sole, giacimenti di diamanti e miseria, che si arriva da monsignor Rino Perin. Missionario comboniano, origini piemontesi, è da 20 anni vescovo della locale diocesi di Mbaiki. Con la ‘Dire’ parla dopo l’alzabandiera degli alunni del College de Sainte Therese de l’enfant Jesus, accanto a una cinquantina di studenti di età compresa tra i 12 e i 16 anni: “Qui ci sono soprattutto gli Anti-balaka, le cosiddette milizie cristiane”. Sono le stesse che, nel momento forse più difficile, nel 2013, il vescovo aveva ammonito a restare ad almeno 30 chilometri dalla cattedrale. “I ribelli della Seleka avevano preso la capitale Bangui e stavano arrivando” ricorda il vescovo. 

“Uomini armati di kalashnikov, machete e granate si sono fermati due volte davanti alla cattedrale a bordo dei loro pick-up, ma non sono entrati”. Caduto il governo della Seleka, la Repubblica Centrafricana è rimasta divisa in zone d’influenza, lacerata da vecchi e nuovi rancori. “La morte di un bambino che al Complexe pediatrique non si era riusciti a salvare innescò giorni di sparatorie, con la caccia al medico bianco e la polizia a difendere l’ospedale” ricordano alla ‘Dire’. Oggi i reparti sono pieni di pazienti, che arrivano da tutto il Paese perché qui ci sono le medicine e le sale operatorie. Con l’inaugurazione di una nuova ala, grazie a un finanziamento della Fondazione Bambino Gesù, il numero dei ricoveri e degli interventi chirurgici appare destinato a crescere ancora. “Ma prevedere cosa sarà questo Paese tra cinque o sei mesi è impossibile” ripetono alla ‘Dire’. Avanti con l’emergenza, allora, cercando di fare il possibile nel nome dei diritti. È il filo rosso che collega ‘El Impenetrable’ a ‘Ouaga Girls’, ‘I a wali’ e agli altri titoli del Festival al via stasera. Oltre la sala dell’Alliance francaise, alta sulla collina tra fromager dalle radici nervate s’intravede l’insegna “Bangui la coquette”, la graziosa: le lettere in stile Hollywood sono un po’ malmesse, ma è comunque un piccolo patrimonio da difendere, come la pace, miraggio o promessa.

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