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Siria, l’esperto Fouad Roueiha: “Invasi da foto e video fake”

Dalle propagande incrociate al 'fact checking': intervista

Pubblicato:10-05-2018 14:57
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:52

Siria
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ROMA –  “Dalla Siria ogni giorno arriva un flusso enorme di foto e video. Ma non tutto è veritiero. Molte sono prodotte in maniera amatoriale, altre sono frutto delle manipolazioni delle ‘progapagande incrociate'”. A parlare con l’agenzia ‘Dire’ è Fouad Roueiha, giornalista ed esperto di Medio Oriente, convinto “per esperienza” che nell’epoca di internet e dei social media “raccontare una guerra sia un lavoro sempre più complesso e sofisticato, pieno di ‘trappole'” e che “per questo è essenziale affidarsi a degli esperti, contattare fonti in loco e tenersi costantemente aggiornati”. Dal 2011, prosegue l’esperto, “il numero dei professionisti che documentano il conflitto è cresciuto tantissimo, così come il livello di controllo tra gli attivisti stessi, attraverso i social network”. Pagine di quotidiani, cartelli autostradali, insegne di luoghi noti e bandiere diventano così alcune delle “precauzioni” a cui questi testimoni diretti ricorrono per rendere più affidabili le foto e i video. Un modo, insomma, per arginare le strumentalizzazioni, che possono giungere “da tutti gli attori in campo”. “In rete troviamo foto degli attacchi a Gaza ‘spacciate’ per Aleppo, oppure quelle di Falluja usate per la Ghouta. Una volta un filmato che ritraeva una fila di donne incatenate e velate è stato usato per ‘dimostrare’ che i jihadisti dello Stato islamico in Siria riducevano le prigioniere in schiavitù. Ma era un falso: si trattava di una rievocazione religiosa, una sorta di ‘recita’, peraltro avvenuta in Libano”. Facile capire, dice Roueiha, che i contenuti digitali “hanno assunto un ruolo di primaria importanza, perché possono determinare cambiamenti nell’opinione pubblica e influenzano la politica internazionale. Oppure, viceversa, è la politica internazionale a determinare che certe immagini abbiano più o meno attenzione”.

Cosa suggerire dunque agli operatori dell’informazione? “Molto utile è la conoscenza della lingua araba, non solo perché permette di capire cosa viene detto, ma anche di riconoscere il tipo di dialetto (l’arabo varia a seconda dei paesi in cui è parlato, sia per struttura che accento, ndr), e quindi la nazionalità di chi sta parlando”, risponde il giornalista. Poi, “avvalersi di esperti di informatica, chimica, armi, cartografia… Pensiamo a quando vengono citate le immagini satellitari. Oppure – ricorda ancora Roueiha – a quando si cercò di sostenere la tesi secondo cui l’attacco chimico a Khan Sheikoun del 2017 fosse stato frutto di un incidente. Il governo russo disse che l’aviazione siriana aveva bombardato un deposito di sostanze chimiche, e che i morti e i feriti tra i civili erano stati causati dai gas sprigionati dalla deflagrazione. Ma da un punto di vista scientifico questo è impossibile: un attacco chimico non si innesca ‘per errore’. E’ come affermare che un piatto di pasta sia stato preparato dando fuoco a una cucina: sì, abbiamo tutti gli ingredienti, ma il procedimento è sbagliato. Più semplicemente, si era trattato di un attacco chimico intenzionalmente condotto contro centri abitati. Ma senza l’ausilio di un esperto di chimica e armi, non è possibile capire che si è di fronte a una bugia”. Secondo Rohueia, “bisogna conoscere il contesto e seguire l’attualità, giorno per giorno, questo però a volte mal si concilia con quei media che propongono un’informazione facilmente digeribile e estremamente semplificata”. Ecco perché, conclude l’esperto, “si fatica a raccontare la complessità di un conflitto su più livelli e con così tanti attori come quello siriano”.

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