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Niente soldi per le cure, rifugiata siriana muore in un campo profughi in Libano

Maryam aveva 36 anni, era incinta del suo settimo figlio. Forse ad ucciderla è stata una polmonite

Pubblicato:10-01-2017 17:03
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 10:47

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ROMA –  Maryam era una rifugiata siriana di 36 anni. Arrivata in Libano tre anni fa da Homs, una delle citta’ piu’ colpite dalla guerra in Siria, ha comunque trovato la morte in un campo profughi. Ad ucciderla – nella notte tra l’1 e il 2 gennaio scorso – un malanno di stagione (forse una polmonite), reso letale dalla totale mancanza di cure.

Suo cugino Hasan, residente in Italia da un anno, racconta all’Agenzia DIRE il dramma vissuto da questa donna: “Maryam si e’ ammalata giorni fa. Una sera ha provato ad andare in ospedale, aveva febbre alta e dolori al petto. Ma siccome è siriana e non libanese, non ha diritto alla sanita’ pubblica. Tutto e’ a pagamento. Cosi’, non avendo il denaro necessario, e’ tornata a casa. E’ morta nella sua baracca quella notte. Lascia sei bambini, il più piccolo ha 1 anno, il più grande di 10. Era anche incinta”.

Nei campi profughi libanesi le condizioni sono al limite della sopravvivenza, come denunciano gli operatori delle ong presenti. Le baracche fatiscenti, i campi malsani, e la gente soffre il caldo torrido in estate, e il freddo pungente in inverno. Questo favorisce il diffondersi di malattie, peggiorate dalla malnutrizione. Cibo, vestiti e medicine infatti scarseggiano. Attualmente, su una popolazione di quattro milioni di abitanti, il Libano ospita nel proprio territorio due milioni di rifugiati siriani.


“Nei campi ci sono molte associazioni- spiega ancora Hasan- ma non ce la fanno a sopperire a tutte le necessità. I profughi sono troppi, e i libanesi non danno molto aiuto”.

Il Libano e’ uno di quei paesi che non ha siglato la dichiarazione internazionale del rifugiato. In questo modo il governo non e’ obbligato a riconoscere lo status di rifugiato ai siriani, e a concedergli l’asilo politico e i documenti. In pratica, e’ un modo per far si’ che queste persone non gravino sulla spesa pubblica. Di fatto pero’, due milioni di persone vivono nell’illegalita’, e in condizioni di vita piu’ che precarie.

“Il marito di Maryam non ha un lavoro. E’ senza documenti, quindi anche se lo trovasse, nessuno potrebbe assumerlo”. Le cure mediche inoltre non sono un diritto riconosciuto: “anche la suocera di Maryam, che ha piu’ di 70 anni, e tre dei suoi bambini, sono ammalati, ma non possono permettersi un medico”. Quindi Hasan lancia un appello: “Tutti dovrebbero preoccuparsi di questi rifugiati. Al momento non hanno nulla, le scorte di viveri non sono sufficienti per tutti. Gli ospedali non danno assistenza, a in molti muoiono per le malattie più banali, soprattutto i bambini“.

Hesan e la sua famiglia attualmente vivono nel nord Italia. Sono stati tra i primi ad arrivare lo scorso 2015 grazie ai Corridoi umanitari, un’iniziativa di Sant’Egidio, Chiese evangeliche e Tavola valdese per garantire ai rifugiati un viaggio in piena sicurezza, dopo aver ricevuto dalle istituzioni italiane i documenti. Un’iniziativa lodevole, ma che arriverà a trasferire circa mille richiedenti asilo in due anni. Troppo pochi per far fronte a tutte le necessita’ dei centinaia di migliaia di siriani che scappano da fame e violenze. “Le organizzazioni umanitarie garantiscono solo le cure di base- spiega alla DIRE l’operatore di una ong in Libano- Chi ha il tumore oppure malattie piu’ gravi e costose non puo’ essere assistito. E’ una situazione molto difficile”, conclude.

di Alessandra Fabbretti

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