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Mine antiuomo, l’ambasciatore Lambertini: “Emergenza anche in Europa” /VIDEO

New York, l'intervista sulla presidenza italiana del Mine Action Support Group

Pubblicato:09-12-2016 10:32
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:24

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mineNEW YORK – “Dobbiamo ricordarci che anche l’Europa non è immune” avverte l’ambasciatore Inigo Lambertini, animatore della presidenza italiana del Mine Action Support Group (Masg). Con la DIRE parla nel suo ufficio al 49° piano in Dag Hammarskjold Plaza, omaggio newyorchese al segretario generale dell’Onu che si battè per la pace in Congo. Guardando in basso in direzione di Brooklyn si vedono il grattacielo sede dell’Onu e accanto le guglie d’acciaio del Chrysler Building. Lambertini ha appena coordinato una riunione dell’High Level Working Group, un altro forum di coordinamento in sede Onu presieduto dall’Italia e dedicato all’attività umanitaria in senso lato, compreso lo sminamento. Dopo Colombia e Libia, oggi al centro l’Iraq, con l’esigenza di conciliare ai tempi dello Stato islamico due differenti protocolli per le bonifiche.

“Un esempio di quanto il mondo dello sminamento sia variegato ed estremamente complesso” sottolinea l’ambasciatore: “Accade che il governo di Baghdad annunci la messa in sicurezza di una zona e che le agenzie umanitarie e le autorità locali non la riconoscano”. Un problema nel problema, in un momento drammatico e decisivo. Secondo l’ultimo rapporto di International Campaign to Ban Landmines (Icbl), le mine antiuomo uccidono infatti sempre di più. Tra il 2014 e il 2015 il numero dei morti e dei feriti causati da questo tipo di ordigni è aumentato del 75 per cento, raggiungendo quota 6461. Una mattanza mai vista negli ultimi dieci anni, indiscriminata come sempre: le vittime sono civili nel 78 per cento dei casi, bambini quattro volte su dieci.

Come presidente del Mine Action Support Group, allora, l’Italia è sulla linea del fronte. Dal 1° gennaio scorso, fino al termine del 2017, ha il compito di promuovere e far accrescere gli sforzi da parte dei Paesi donatori: dall’assistenza alle vittime alle bonifiche fino alle distruzioni di arsenali. “Una delle chiavi di lettura che stiamo cercando di dare è che lo sminamento è un’attività fondamentale a livello mondiale” sottolinea Lambertini: “Non solo in teatri facilmente intuibili come quelli mediorientali ma anche altrove, come confermano i casi dello Sri Lanka, del Laos, di vaste regioni dell’Asia o della stessa Europa”. Né si tratta solo dei ritrovamenti di residuati bellici della Seconda o addirittura della Prima guerra mondiale. “Esistono crisi ben più recenti, in Bosnia e nell’area balcanica o in Ucraina” dice l’ambasciatore: “Ci sentiremo compiuti nella nostra azione di presidenza del Masg se riusciremo a trasmettere il messaggio che per garantire una sicurezza diffusa bisogna fare tanto anche in Europa”.


Che l’Italia ci creda lo dimostrano dati in controtendenza rispetto al generale calo dei contributi finanziari per lo sminamento. A livello globale tra il 2014 e il 2015 la diminuzione è stata del 25%. Nello stesso arco di tempo, invece, nostro Paese ha messo sul piatto il 35 per cento di risorse in più. La premessa è che “negli anni della crisi ci eravamo praticamente bloccati” e che ancora oggi Stati Uniti, Giappone e Paesi nordeuropei restano in cima alla classifica dei donatori con stanziamenti per decine di milioni di dollari. L’impegno italiano ha un significato particolare perché frutto di un cambiamento radicale. “Nella prima riunione dopo l’inizio della presidenza ricordai che fino agli anni 90 eravamo stati uno dei principali Paesi produttori di mine” ricorda Lambertini. Convinto che, dopo il primo divieto alle esportazioni e la firma nel 1997 del Trattato di Ottawa per la messa al bando di questo tipo di ordigni, l’evoluzione sia stata lineare. Aiuta a capire il caso dell’Angola. “Negli anni 70, quando scoppiò la guerra civile, era piena di mine italiane” ricorda Lambertini: “Adesso facciamo il contrario, sfruttando in modo diverso uno stesso know how”.

Sta andando così anche in altre regioni dell’Africa, ad esempio in Sudan, dove l’Italia è attiva anche grazie ai “tradizionali buoni rapporti” con Khartoum. E l’obiettivo è andare oltre, onorando una presidenza europea del Mine Action Support Group che arriva dopo diversi anni: “Ricordare”, insiste l’ambasciatore, “che lo sminamento riguarda tutto il mondo, anche regioni a poche centinaia di chilometri dal nostro territorio”. Dalla Bosnia alla Libia, sull’altra sponda del Mediterraneo, Paese disseminato di ordigni dai trafficanti del Sahel, oggi “off limits”, domani impegno cruciale. Con un’avvertenza, sottolinea Lambertini: “Oggi la gran parte del mercato delle mine non è costituita da Stati ma da altri attori; abbiamo di fronte un fenomeno illegale, ancora più difficile da controllare”.

di Vincenzo Giardina, giornalista professionista

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