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Peacekeeping, Ucko: “Solo promesse, è crisi legittimità”

Secondo l'esperto di peacekeeping di Washington, la 'colpa' è della politica: la crisi dell'Onu dipende dai contrasti all'interno del Consiglio di sicurezza

Pubblicato:09-09-2016 17:28
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:03

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Onu1ROMA – “Il nodo sono i mandati, troppo ampi e vaghi a causa delle divergenze dei ‘Big five’, i membri permanenti del Consiglio di sicurezza”: David Ucko, esperto di peacekeeping presso la National Defence University di Washington, parla con la Dire dopo il vertice Onu di Londra. L’assunto di base è che, come previsto, ministri della Difesa e delegati degli 80 Paesi presenti all’incontro organizzato dalle Nazioni Unite hanno ribadito impegni, fatto promesse ed evidenziato la necessità di “una pianificazione migliore”. Secondo Ucko, però, è mancata la politica. “La questione dei mandati è rimasta fuori dal vertice nonostante il momento sia straordinariamente delicato” sottolinea l’esperto: “Le missioni di pace dell’Onu stanno attraversando una crisi di legittimità, conseguenza dei contrasti politici in seno al Consiglio di sicurezza“. La tesi è che in molti Paesi, dal Sud Sudan al Congo al Mali, i caschi blu rischiano di fallire anche a causa dell’indeterminatezza dei loro obiettivi.

“Spesso – dice Ucko – i mandati delle missioni sono vaghi e non indicano nel concreto come applicare il principio della ‘protezione dei civili’”. Sullo sfondo ci sarebbe un problema di risorse ma anche una “divisione del lavoro” alla lunga inaccettabile: “Le missioni sono finanziate soprattutto dalle grandi potenze, a partire dagli Stati Uniti, mentre a inviare soldati sono perlopiù Paesi poveri”. Statistiche alla mano, a livello globale Bangladesh, Etiopia, India, Pakistan e Rwanda forniscono dal soli il 36 per cento dei peacekeeper.

ONU: “NO FALLIMENTI, PIANIFICARE MEGLIO”

Un appello a garantire “una pianificazione migliore” ma nessuna riforma dei meccanismi di fondo: sono gli elementi chiave emersi da una riunione sulle missioni di peacekeeping dell’Onu alla quale hanno partecipato a Londra ministri della Difesa e delegazioni di 80 Paesi. “Il peacekeeping moderno richiede una pianificazione migliore sul piano politico e militare durante l’intero ciclo della missione, con mandati chiari e progressivi” si afferma nella nota, diffusa al termine dell’incontro.


Nel testo si richiamano gli Stati membri dell’Onu alle loro responsabilità sul piano del mantenimento della pace e si evidenzia la necessità di “alti livelli di performance da parte dei peacekeeper civili e in uniforme, che devono essere sostenuti da una leadership efficiente e responsabile”. La riunione si è tenuta sullo sfondo del moltiplicarsi delle critiche ai “caschi blu”, incapaci di arrestare le violenze in diversi teatri di conflitto. Uno degli ultimi esempi riguarda il Sud Sudan, dove negli ultimi mesi si sono verificati stragi di profughi e stupri di cooperanti nonostante la prossimità di basi di peacekeeper delle Nazioni Unite.

di Vincenzo Giardina, giornalista professionista

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