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Nomadi, Camping River rischia chiusura: “Campidoglio non ci cacci”/FOTO

425 Persone rischiano di finire in strada: "E i nostri figli?"

Pubblicato:09-06-2017 12:52
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:19

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ROMA – Nessun cumulo di immondizia, di roghi di rifiuti neanche l’ombra, o l’odore. Carcasse di automobili? Zero. Al contrario: un’area tenuta in ordine, una serie di container che ricordano più dei bungalow abitati in pieno periodo estivo, qualche scritta qua e là, un gran numero di minori, 197 in tutto, per il 90% scolarizzati. E poi 2 studenti universitari, sui 5 totali sparsi su tutto il suolo italiano. Eppure, il Camping River rischia seriamente di chiudere. La realtà che si trova in zona Tiberina è forse un caso unico in Italia, certamente a Roma. Gestita dalla onlus Isolaverde, coinvolge 425 persone, guidate da 17 addetti.

Entrando nell’area (è privata) del Camping River, quello che spicca sono ordine e una certa pulizia. Le famiglie che abitano qui rappresentano 5 etnie, abitudini, religioni, tradizioni diverse l’una dall’altra. Difficile, però, accorgersene: ognuno può festeggiare liberamente la propria ricorrenza religiosa senza che gli altri ne risentano. E poi il rispetto per i lutti degli altri, cosa non da poco.

Simonetta Lanciani è la presidente della onlus Isolaverde. Appassionata, tenace, testarda. Ma soprattutto arrabbiata: “Abbiamo ricevuto il primo giugno la lettera di sfratto– dice nel suo racconto accorato all’agenzia Dire- Perché non viene nessuno qui del Comune a vedere quello che facciamo? Se vogliono cacciare tutti, dovranno venire a farlo con la forza”. Ma cosa è successo esattamente? Dopo un periodo di gestione di 4 mesi per l’emergenza freddo, tra dicembre 2003 e l’aprile 2004, la Onlus, dopo aver vinto un regolare bando, ha iniziato a gestire la struttura nel febbraio 2006.


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Un bando dell’iniziale durata triennale, prima di passare alla proroga anno per anno dal 2009 fino al 2016″. Lo scorso anno, infatti, c’è stato un nuovo bando “che doveva affidare il servizio da ottobre 2016 al 31 dicembre 2017 per il reperimento di un’area attrezzata per accogliere queste popolazioni”. Bando a cui la onlus ha partecipato, da sola. Diversi i ricorsi all’Anac, tra gli altri di Nazione Rom: “Eppure il bando è andato avanti– precisa Lanciani alla Dire- Evidentemente i ricorsi non erano pertinenti. E voglio precisare che io non avrei voluto neanche partecipare al bando, l’ho fatto temendo che altri partecipassero. Questo per noi è lavoro e non mi vergogno del fatto che lavoro e prendo uno stipendio”.

Isolaverde prende 94mila euro al mese “con cui manteniamo tutto il servizio”. Il nuovo bando prevedeva 4 operatori in servizio sociale, più un responsabile, 6 operatori in servizio vigilanza, più un responsabile. E poi borse lavoro per 40mila euro, più 20mila non si sa bene per quale progetto”.

Il primo giugno la doccia fredda, anche se qualcuno nella onlus aveva il sentore che questo potesse succedere. Diverse le contestazioni da parte del Comune, spalmate su diversi punti: dall’assenza di acqua calda e aria condizionata ad un progetto definito “generico”, agli operatori di vigilanza che non rispetterebbero la normativa (“Ma non è indicata”).

La presidente dell’associazione fatica a trattenere le lacrime: “C’era il sentore che questo potesse accadere, ma poi abbiamo pensato che non potevano ricollocare 425 persone da un momento all’altro. Al Municipio XV sono preoccupati, ci hanno detto ‘ma ora che chiudete ce li ritroveremo abusivamente in giro?’ Se vengono mandati via, da qualche parte dovranno andare”.

LE PROTESTE DEI NOMADI

Eppure loro un’idea chiara ce l’hanno: “Non vogliamo uscire dal campo“, perché la preoccupazione per i propri figli “è la cosa più importante”. Vogliono farsi sentire tutti i papà del campo rom. Mentre le mamme si occupano dei piccoli, in gran parte sono studenti di ritorno dalle rispettive scuole nell’ultimo giorno dell’anno (“I nostri compagni piangevano perché non sapevano se l’anno prossimo ci saremo mentre le maestre erano preoccupatissime per noi”), i papà non hanno timore a mostrare quella fragilità chiamata ‘figli’: “Dobbiamo andare in mezzo alla strada con i nostri figli? Ci diano una alternativa- spiega Zarko Hadzovic, bosniaco, da 8 anni in questo campo- Non devono venire a sfrattarci e buttarci fuori. Vogliamo chiare promesse”.

Iom Dumitru, romeno, è qui invece da 10 anni: “Siamo stati ingannati tante volte. Si parla di sgomberi, ma prima vogliamo un’alternativa. Non lasciamo il campo senza alternative. Se mandano tutti in strada c’è il rischio che aumenti la delinquenza. E qui abbiamo anche dei disabili: chi deve fare la dialisi, chi ha la sindrome di down, chi ha la dislessia, c’è anche un bimbo sordomuto”. Se passa la decisione dello sfratto “non è più inclusione”.

E poi Yanez Salkanovic, bosniaco, che arriva dall’ex Casilino 900 (“Chiediamo il rispetto dei diritti”), il macedone Kemal Kajtaz (“Ho 24 anni, da 16 sono in Italia, ho due figli e vorrei un lavoro per dare un futuro ai miei figli”) e poi il non più giovanissimo Saiti Ajet, Kosovo, che arriva da Brindisi (“Avevamo avuto delle promesse da Alemanno che poi ci ha buttato in strada, da qui non vogliamo andare via”). Per tutti, da tutti: “La Raggi venga a vederci”.

(FOTO DI STEFANO COSTA)

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