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Macron un anno dopo

Riccardo Brizzi per www.mentepolitica.it  Esattamente due anni fa, il 6 aprile 2016, Emanuel Macron, allora ministro dell’Economia del

Pubblicato:09-04-2018 14:12
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:44

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Riccardo Brizzi per www.mentepolitica.it
 Esattamente due anni fa, il 6 aprile 2016, Emanuel Macron, allora ministro dell’Economia del governo Valls, lanciava la propria creatura politica, «En marche!», precisando come non fosse «un movimento per avere un ennesimo candidato alle presidenziali». Né allora, né sette mesi dopo, quando Macron scoprì le carte formalizzando la propria candidatura, nessun osservatore giudicò che potesse avere qualcosa da dire nella corsa all’Eliseo. Secondo la tradizione, per ambire alla presidenza occorreva che un candidato disponesse di grande autorevolezza politica, di un’immagine consolidata agli occhi dell’opinione pubblica, di un solido partito schierato a proprio sostegno e di un chiaro posizionamento all’interno dello scacchiere politico. In pochi mesi invece Macron ha smentito tutte le consuetudini della Quinta Repubblica imponendosi su avversari in partenza ben più accreditati senza disporre di una solida esperienza, né di un partito strutturato sul territorio, né tantomeno di alleati. Ha teorizzato con sonorità golliste il superamento della tradizionale frattura destra-sinistra e, a 39 anni, ha avuto la meglio su  un’intera generazione politica, pensionando anticipatamente alcuni volti noti della scena politica nazionale, da Nicolas Sarkozy a Alain Juppé, passando per François Hollande.

A due anni di distanza dalla «discesa in campo» il macronismo, vero e proprio tsunami che ha investito il panorama politico francese, continua a mantenere una certa dose di mistero. I tentativi di classificarlo appaiono poco convincenti. Il fenomeno sfugge alle categorie tradizionali e sembra piuttosto un’originale forma di sincretismo politico. Se la sua cavalcata verso l’Eliseo ha ricordato quella di Valéry Giscard d’Estaing per la giovane età, la vivacità intellettuale e la volontà di rinnovamento politico, la sua interpretazione del ruolo presidenziale è stata spesso associata a quella del Generale de Gaulle, mentre sulla scena internazionale i lunghi viaggi solenni, la retorica magniloquente, le grandi ambizioni europee e l’attivismo africano e mediorientale, sollecitano un raffronto con François Mitterrand.

Se il macronismo appare ancora una dottrina sfuggente, più riconducibile alla pratica dell’azione che agli schematismi delle ideologie, è invece possibile tracciare un bilancio – evidentemente provvisorio – dell’azione di Macron in questi primi undici mesi all’Eliseo.

Il primo dato che salta agli occhi è il recupero di solennità del ruolo presidenziale, dopo il quinquennato «bling-bling» di Sarkozy e quello «normale» di Hollande. Macron ha da subito vestito i panni del presidente «jupitérien», del monarca repubblicano, per rispondere a una delle esigenze indispensabili delle iper-personalizzate democrazie contemporanee: quella di incarnare credibilmente la funzione. Un recupero di verticalità evidente sia nel rapporto con l’opinione pubblica che con il Primo ministro.


E qui veniamo al secondo tratto distintivo della presidenza Macron: il tandem che forma con Édouard Philippe appare solido e coerente, con una chiara divisione dei ruoli, lontana dalle sovrapposizioni e invasioni di campo a cui avevamo assistito negli ultimi mandati tra Hollande e Valls o tra Sarkozy e Fillon. Macron definisce le grandi strategie politiche e internazionali del Paese e lo rappresenta all’estero, mentre al Primo ministro spetta la realizzazione di questa agenda, la concertazione con le parti sociali e la gestione dei rapporti con la maggioranza parlamentare e i partiti.

Terzo aspetto caratterizzante è l’inesauribile dinamismo delle riforme, intraprese al passo di carica: dopo la Costituzione, l’istruzione superiore, il diritto di asilo e l’immigrazione, la formazione professionale, il diritto del lavoro e l’imposta sulla fortuna è ora la volta della giustizia. L’obiettivo di Macron è quello di avviare subito le riforme – alcune delle quali piuttosto impopolari –nel tentativo di ottenere i risultati auspicati, soprattutto in ambito economico, prima della fine del quinquennato.

Questo riformismo accelerato ha l’obiettivo di approfittare della legittimità del presidente neo-eletto – che ancora oggi gode di un soddisfacente livello di popolarità nell’opinione (il 45% dei francesi lo giudica un «buon presidente») – e di disorientare al contempo le opposizioni, disorientate e incapaci di allearsi. La France insoumise di Mélenchon è in fase di stallo, i socialisti nonostante la fresca elezione del segretario, Olivier Faure, sono marginalizzati e allo sbando, il Front national è in evidente crisi e il solo partito che mostra segnali di ripresa sono i Repubblicani, guidati dal nuovo leader Laurent Wauquiez, che tuttavia non trova alleanze praticabili.

Quattro opposizioni fragili e antagoniste si confrontano a un partito di maggioranza giovane e privo di radicamento sul territorio. Se Macron si è dimostrato abile nel disorientare i rivali, ancora molto resta da fare per strutturare un movimento come La République en Marche, incapace di risolvere l’ambiguità fondativa tra la pretesa orizzontalità della democrazia partecipativa, e l’inevitabile verticalità impressa dal suo leader. Un movimento che nei primi mesi del 2018 è uscito ridimensionato dalle due elezioni legislative parziali che si sono tenute in Val d’Oise e a Belfort.

Il rischio alimentato da questa fragilità dei partiti, è che il disincanto democratico che spira forte sulla Francia da un paio di decenni – arginato sino a oggi dalla solidità del sistema istituzionale e dalle virtù del sistema elettorale – riemerga con prepotenza. La vittoria di Macron nel 2017 non deve far dimenticare che al primo turno delle presidenziali un francese su due ha votato per formazioni antisistema, preferendo l’alternativa radicale alla fisiologica alternanza. La sfiducia generalizzata nei confronti di partiti e istituzioni tradizionali si è rivelata una delle carte vincenti dell’incredibile cavalcata del candidato Macron verso l’Eliseo. Ora la sua priorità da presidente è quella di ricucire un tessuto di fiducia tra cittadini disillusi e una classe politica disorientata e in grave deficit di legittimazione.

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