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Dai No Triv diffida al Mise: “Chiuda i progetti entro 12 miglia”

ROMA -  L’emendamento alla Legge di Stabilità introdotto dal Governo rispetto ai permessi di prospezione e coltivazione di

Pubblicato:09-01-2016 13:31
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 21:46

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ROMA –  L’emendamento alla Legge di Stabilità introdotto dal Governo rispetto ai permessi di prospezione e coltivazione di idrocarburi “non soddisfa la richiesta referendaria” delle Regioni ‘no trivelle’ perché “in altri termini, la elude, in quanto la modifica voluta dal Governo, pur facendo salvi i permessi e le concessioni già rilasciati, ne allunga arbitrariamente la durata”. In questo modo, “i permessi di ricerca non avrebbero più scadenza alcuna e di fatto resterebbero ‘congelati’ in attesa di tempi migliori”.

Trivelle

Per questa ragione, il Coordinamento nazionale No Triv sta per indirizzare al ministero dello Sviluppo economico “una diffida, affinché chiuda definitivamente tutti i procedimenti attualmente in corso relativi a progetti petroliferi ricadenti entro le 12 miglia marine”. Così in una nota il Coordinamento nazionale No Triv, commentando la decisione di ieri dell’ufficio centrale per i referendum della Cassazione che, proprio in base alle modifiche introdotte con la legge di Stabilità, pur avendo lo scorso 26 novembre dichiarato conformi i sei quesiti referendari contro le trivelle presentati dalle Regioni interessate, ha disposto che solo uno dei sei quesiti mantiene i requisiti di conformità.


In altri termini la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i referendum che riguardano lo Sblocca Italia mentre viene ammesso quello che riguarda le misure del decreto Sviluppo sul limite alle trivellazioni entro 12 miglia marine. Per chiedere un referendum per abrogare le norme che consentono le trivellazioni 10 Regioni hanno depositato quesiti referendari: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Sui quesiti referendari dovrà pronunciarsi la Corte Costituzionale la prossima settimana.

La Cassazione “ha ritenuto che non si debba procedere a referendum su altri due quesiti- spiega il Coordinamento nazionale No Triv- quello sulla durata dei permessi e delle concessioni in terraferma e quello sul Piano delle Aree, strumento di programmazione volto ad individuare quali aree interdire e quali, invece, ‘aprire’ alle attività petrolifere”. In quest’ultimo caso, però, “il Parlamento ha sottratto al corpo elettorale la norma sulla quale votare- lamentano i No Triv- abrogando totalmente la norma sul Piano delle Aree, è sparito anche l’oggetto del referendum”. Ciò detto, “affinché i delegati regionali possano esercitare fino in fondo il compito assegnato loro dai rispettivi Consigli Regionali di appartenenza” e perché “i cittadini italiani possano esprimersi democraticamente sull’opportunità che tutti i titoli minerari siano rilasciati non in modo ‘selvaggio’ ma sulla base di un piano, elaborato congiuntamente dallo Stato e dagli enti territoriali- prosegue il Comitato- coerenza vuole che il problema sia portato all’attenzione della Corte Costituzionale”. Per fare ciò, “è assolutamente necessario che tutte le Regioni promotrici del referendum sollevino urgentemente un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti del Parlamento”. Solo in questo modo, conclude il Coordinamento nazionale No Triv, “ove la Corte Costituzionale dovesse riconoscere l’illegittimità della modifica della durata dei titoli e dell’abrogazione del Piano delle Aree, verrebbero messi in sicurezza gli obiettivi del referendum”.

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