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Il flop di Fava. Ferite e memorie della sinistra radicale

di Aldo Garzia per www.ytali.com La lezione del voto siciliano. La scommessa della sinistra radicale nelle prossime

Pubblicato:08-11-2017 11:40
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:52

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di Aldo Garzia per www.ytali.com

La lezione del voto siciliano. La scommessa della sinistra radicale nelle prossime politiche si presenta difficile, nonostante la crisi
del Pd. Molto del suo esito dipenderà dal fatto se ci sarà o meno una unica lista a sinistra del Pd

Quel 6,1 per cento ottenuto in Sicilia dalla lista unitaria di sinistra che sosteneva Claudio Fava è una doccia fredda. Fa pendant con l’irrilevanza del candidato del Pd (Fabrizio Micari, 18,6 per cento) e l’indubbio successo del Movimento 5 Stelle (primo partito nell’isola). I sogni di gloria di Fava per un risultato a due cifre sono andati in soffitta. Anzi, si è a lungo temuto durante lo scrutinio che la lista unitaria non raggiungesse neppure il quorum del cinque per cento utile a entrare nell’Assemblea regionale siciliana.


Regionali siciliane: 1991 PDS 10,5%

1996 PDS 13,3%

2001 DS 10,3%

2006 DS 14%

2008 PD 18,7%

2012 PD 13,4%

2017 PD 13%

La doccia fredda riapre perciò la discussione su ciò che si muove a sinistra del Pd soprattutto su un punto: non c’è automatismo tra crisi del principale partito del centrosinistra – in questo caso il Pd, come ieri erano Pci o Pds-Ds – e spostamento di consensi elettorali su un soggetto politico che si propone alla sua sinistra.

Se si dà uno sguardo alla storia delle elezioni italiane degli ultimi decenni, questa osservazione è confermata. L’automatismo non c’è affatto e qualche volta nelle elezioni è premiata la forza più a
sinistra solo quando sono chiari i suoi obiettivi unitari e di maggiore pluralismo dello schieramento di alternativa.

Il Psiup, ad esempio, riportò un buon risultato nelle elezioni del 1968 (4,5 per cento) ottenendo 23 seggi alla camera dei deputati grazie ai consensi della contestazione studentesca e alla caratterizzazione unitaria con il Pci dopo la scissione del Psi. Ma nelle elezioni del 1972 non ottenne il quorum in nessuna circoscrizione (1,94 per cento). La maggioranza del Psiup confluì di
conseguenza a maggioranza nel Pci. Nel 1972, nonostante la stagione dei grandi movimenti di massa, risultato altrettanto deludente delle
liste del manifesto: 0,7 per cento con conseguente fallimento della costruzione di un polo politico ed elettorale a sinistra del Pci.

Nel 1976 Democrazia proletaria ce la fece a entrare alla camera nella versione di coalizione tra Pdup, Avanguardia operaia, Lotta continua ottenendo l’1,5 per cento e sei deputati (Lucio Magri, Eliseo Milani, Luciana Castellina, Silverio Corvisieri, Massimo Gorla, Mimmo Pinto). Nelle elezioni del 1979 fu tuttavia il solo Pdup a raggiungere il quorum con l’1,5 per cento a scapito di Nuova sinistra unita dove erano confluite le altre componenti dell’alleanza del 1976. Fu premiata l’idea di una sinistra plurale e unitaria propria del Pdup.

Esordio elettorale di Rifondazione comunista (Prc) nelle elezioni del 1992 con il 5,6 per cento. Nel 1993 il Prc superò il dieci per cento nelle elezioni a Torino e Milano facendo esultare Lucio Libertini, uno dei fondatori, ex Psiup ed ex Pci, che dichiara: “Rifondazione ha consensi a due cifre ed è ormai competitiva con il Pds”. Il migliore risultato generale del Prc è però quello delle elezioni del 1996, quando sigla la “desistenza” con le liste dell’Ulivo: 8,5 per cento. Vengono premiati pure in quell’occasione unità e pluralismo a sinistra che portano alla elezione come presidente del consiglio di Romano Prodi.

Il Prc vanta inoltre due esperienze di governo, croce e delizia di una forza antagonista: nel 1996 (quando ha fornito appoggio esterno al governo Prodi I, provocandone poi la caduta) e nel 2006 (quando ha fatto parte del governo Prodi II e ha eletto Fausto Bertinotti a presidente della camera). Dal 2008 Rifondazione ha poi interrotto i rapporti elettorali e unitari con il centrosinistra, puntando alla costruzione di un polo alternativo di sinistra fortemente polemico con il Pd e il centrosinistra.

Con questi obiettivi fece parte, insieme ad altri partiti della sinistra radicale, di Sinistra Arcobaleno nelle elezioni del 2008 (poco più del tre per cento) e di Rivoluzione Civileguidata da Antonio Ingroia nelle elezioni del 2013 (2,25 per cento). Quorum fallito in entrambe le consultazioni.

Non bisogna infine dimenticare che la rappresentanza attuale della sinistra radicale – Mdp Articolo1, Sinistra italiana, Possibile – in parlamento è frutto di scissioni e riaggregazioni della coalizione di centrosinistra denominata “Italia bene comune”, accordo siglato nel 2013 tra Pier Luigi Bersani (segretario all’epoca del Pd), Nichi Vendola (leader di Sel) e Riccardo Nencini (segretario del Psi). Sinistra ecologia e libertà ottenne il 2,97 per cento alla camera e il 3,2 al senato: 37 deputati, sette senatori.

La scommessa della sinistra radicale nelle prossime elezioni politiche, alla luce dei numeri e dei problemi politici del passato, si presenta niente affatto in discesa, nonostante la crisi del Pd e il declino di Matteo Renzi. Molto del suo esito – se il risultato da perseguire è a due cifre – dipenderà dal fatto se ci sarà o meno una unica lista a sinistra del Pd. E, soprattutto, se l’immagine e vocazione politica di questa lista non sarà solo divisiva e identitaria puntando invece a un progetto di ricomposizione della nuova sinistra di governo del futuro.

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