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Oncologia, l’innovazione preme sulla spesa sanitaria

In Italia sono oltre tre milioni le persone che vivono dopo una diagnosi di cancro. Ogni anno la popolazione dei pazienti aumenta di 90.000 persone

Pubblicato:08-11-2016 12:31
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:16

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corso-di-formazione-professionale_oncologia_MILANO – Come conciliare la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili con l’elevato costo dei farmaci più innovativi, garantendo sostenibilità al sistema oncologico, accesso alle cure e remunerazione della ricerca promossa dalle aziende? E come rendere questi concetti scientifici ed economici alla portata di milioni di cittadini che, alla luce dell’impatto sociale dei tumori, devono direttamente o indirettamente confrontarsi con queste malattie? Di tutto questo si è parlato a Milano in occasione del Corso di formazione professionale continua ‘Innovazione, sostenibilità, accesso ai farmaci: le nuove sfide dell’informazione in Oncologia’ promosso dal Master ‘La scienza nella pratica giornalistica’ della Sapienza università di Roma con il supporto non condizionante di Pfizer e di Roche.

In Italia sono oltre tre milioni le persone che vivono dopo una diagnosi di cancro. Ogni anno la popolazione dei pazienti aumenta di 90.000 persone.

Ormai, ad eccezione dei tumori della cute, il 55% degli uomini e il 63% delle donne colpiti da patologie oncologiche sopravvive nei cinque anni successivi alla diagnosi.


corso-di-formazione-professionale_oncologiaA questi dati però fa riscontro il problema della sostenibilità e dell’accesso alle terapie innovative che insieme ai progressi nelle tecnologie di diagnosi stanno cambiando le prospettive per i pazienti. Nel 2013, in tutto il mondo per i farmaci oncologici si sono spesi 91 miliardi di dollari, mentre in Italia la spesa è passata da circa un miliardo di euro nel 2007 a 2 miliardi e 900 milioni nel 2014, con un tasso annuo di crescita dei costi del 15%. Per far fronte alla crescente disponibilità di nuove terapie, nei giorni scorsi il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha annunciato l’inserimento nella legge di Bilancio di un Fondo di 500 milioni dedicato ai farmaci oncologici innovativi.

Secondo il direttore della divisione Sviluppo di nuovi farmaci per terapie innovative dello Ieo di Milano, Giuseppe Curigliano, “occorre affrontare il tema dei costi in una prospettiva più ampia, tenendo fermi alcuni principi: garantire l’immediata disponibilità delle terapie innovative in tutto il territorio, migliorare i percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali, monitorare l’efficacia clinica e la tossicità dei farmaci dopo l’immissione in commercio e semplificare le procedure amministrative”.

In Italia i tumori più frequenti, nel totale di uomini e donne, sono nell’ordine quello del colon-retto (con 52.000 nuove diagnosi stimate per il 2016), della mammella (circa 50.000 nuovi casi) e del polmone (41.000 nuovi casi).

La sopravvivenza più alta a 5 anni si registra per il tumore della mammella (85,5%), per il tumore del colon (60,8%) e del retto (58,3%), mentre quella per il tumore del polmone è pari al 14,3%, più elevata rispetto alla media europea. Per tutte queste neoplasie sono o stanno per rendersi disponibili terapie innovative, ma l’innovazione, soprattutto in oncologia, deve sempre fare i conti con il problema dell’accesso legato sia ai costi sia a ostacoli burocratici.

Secondo i dati comunicati da Cittadinanzattiva, i tempi per l’immissione in commercio di un farmaco oncologico arrivano fino a 1.070 giorni, contro i circa 400 previsti dalla normativa, senza considerare i tempi della fase regionale che seguono procedure differenti sul territorio. I Ptor (Prontuari terapeutici ospedalieri regionali) rallentano o razionano l’accesso ai farmaci effettivamente disponibili ai cittadini, determinando disparità di accesso sul territorio sia come tempi sia come requisiti: “Come aziende farmaceutiche siamo chiamate a collaborare con le istituzioni, la comunità medico-scientifica e non da ultimo con i media, per poter favorire un percorso di equità sociale, che garantisca le cure migliori per tutti i pazienti e al contempo la sostenibilità del sistema”, afferma il presidente e amministratore delegato di Pfizer in Italia, Massimo Visentin, ossia “garantire a tutti, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, l’accesso alle cure con farmaci anticancro innovativi significa guadagnare anni e qualità di vita”.

A detta di Visentin questo dovrebbe essere “un diritto universalmente acquisito, purtroppo però sappiamo che non è così e i pazienti vivono sulla loro pelle l’esperienza di una sanità a più velocità“. Una questione chiave è poi quella di definire esattamente il termine innovazione, misurando l’effettivo incremento di beneficio che un farmaco oncologico è in grado di apportare con i costi e la sostenibilità per il Servizio sanitario: “La legge di Bilancio 2017, attualmente in fase di approvazione parlamentare, ha istituito per la prima volta in Italia un Fondo di 500 milioni di euro destinati ai farmaci anticancro innovativi”, spiega Visentin, che definisce questo “un segnale importante da parte del Governo, con la speranza che sia di buon auspicio per una sempre maggiore attenzione ai pazienti oncologici e al loro diritto ad accedere alle terapie più innovative”.

Esiste poi un problema di sprechi (stimati in circa il 20% della spesa sanitaria secondo il Gimbe-Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze) che oggi può essere affrontato grazie alle grandi quantità di dati disponibili dai flussi amministrativi, dai registri e dalle cartelle cliniche informatizzate ospedaliere e relative ai ricoveri, alle prestazioni ambulatoriali, al consumo dei farmaci. Importante anche il ruolo dell’informazione: “In questo scenario i giornalisti giocano un ruolo chiave nel raccontare i traguardi raggiungibili grazie alle innovazioni diagnostiche e terapeutiche- afferma il presidente di Roche Italia, Maurizio De Cicco- quindi proprio a loro rivolgo il mio invito a sostenere un nuovo approccio alla tematica che riesca, attraverso una ‘scientifica semplificazione’ dei progressi della medicina, a raggiungere un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo”.

In Emilia Romagna la Rete oncologica ha messo a punto un modello di verifica della qualità della rete dei servizi in rapporto alle risorse impiegate che, applicata al carcinoma mammario, ha permesso la ricerca di potenziali inappropriatezze e possibili risorse ‘male allocate’ sui percorsi di cura di oltre 3.000 donne con diagnosi di tumore al seno, verificando il contenimento dei livelli di inappropriatezza in chirurgia (al di sotto del 2,5% dei casi) e l’accesso alle terapie farmacologiche precauzionali entro 60 giorni dall’intervento per l’84,7% delle pazienti candidate.

TUMORI, DA EMILIA ROMAGNA MODELLO CONTRO SPRECHI RISORSE

Ridurre gli sprechi di risorse nel percorso di cura oncologico? In Emilia-Romagna si può: “L’esperienza della rete oncologica romagnola all’interno della regione Emilia Romagna è quella di cercare di mettere al centro il valore delle prestazioni, cioè di ridurre tutto ciò che nel percorso di cura ha poco valore aggiunto per stornare quella quota di risorse per attività di maggior valore”. A dirlo è Mattia Altini, direttore sanitario dell’Irst (Istituto scientifico romagnolo per lo studio e la cura dei tumori) di Meldola, in provincia di Forlì-Cesena.


Altini, interpellato dall’agenzia Dire a margine del convegno organizzato a Milano sulle nuove sfide dell’informazione e dell’innovazione oncologica, tenutosi a Palazzo Bovara, spiega che “migliorare l’iter, migliorare l’interfaccia, migliorare la gestione del caso specifico, rendere accessibili i servizi con numeri dedicati, insomma lavorare sul percorso di cura” sono gli obiettivi che la sperimentazione della rete oncologica romagnola presenta nel far fronte agli sprechi che nel sistema sanitario nazionale raggiungono il 20% sulla spesa. Insomma, bisogna misurare il valore oncologico, ovvero la qualità della rete di servizi di un territorio in rapporto alle risorse impiegate lungo tutto il percorso assistenziale del paziente: “Sono certo che dobbiamo misurare le nostre prestazioni, se le misuriamo e rendiamo omogenea la misurazione di queste prestazioni potremmo trarre grandi benefici dal confronto e vedere chi sta usando meno risorse e ottiene gli stessi risultati”, aggiunge Altini. Un esempio di questa metodologia “è il follow up nella gestione del tumore mammario- continua- che oggi assorbe molte risorse che potrebbero essere ricollocate in un ambito professionale diverso e condiviso”, e che ha permesso la ricerca di potenziali inappropriatezze e possibili risorse male allocate sui percorsi di cura di oltre 3.000 donne con diagnosi di tumore al seno dall’1 gennaio 2010 al 30 giugno 2016. Può essere questa una sperimentazione efficace anche a livello nazionale? “Dobbiamo lavorare per garantire le innovazioni riducendo ciò che oggi è a basso valore nel percorso di cura”, spiega il direttore sanitario romagnolo, perché “abbiamo innanzitutto visto che la dinamica del tempo di cura è la chiave per il successo del percorso”, quindi “ci stiamo impegnando a misurare tutti gli step di cura nel paziente di oncologia in modo da identificare ancora su quali standard dobbiamo migliorare per essere efficaci e per garantire la migliore cura possibile”, conclude Altini.

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