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VIDEO | Eritrea, Jaber (scrittore): “Chi emigra fugge dittatura, non fame”

La radice del fenomeno delle migrazioni, secondo lo scrittore Haji Jaber, è che in Africa, e in particolare in Eritrea, i cittadini sono oppressi

Pubblicato:08-05-2019 17:27
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:26
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ROMA – In Eritrea, come nel resto dell’Africa, non è la fame il problema principale che spinge tante persone a emigrare. Ne è convinto Haji Jaber, giornalista e scrittore originario di Massaua, intervistato dalla ‘Dire’ alla libreria Tamu di Napoli, dove ha recentemente presentato il suo ultimo libro, ‘Fuga dalla piccola Roma‘ (L’Arcolaio, 2019, traduzione di Gassid Mohammhed).

“Vedo che l’Europa in generale, e l’Italia in particolare, prestano molta attenzione alle migrazioni, se ne preoccupano e cercano anche di contenere queste ondate, curandosi soprattutto dei risultati che ottengono” ha detto Jaber. “Bisogna però guardare alla radice del fenomeno e cioè al fatto che in Africa, e in particolare in Eritrea, i cittadini sono oppressi“. 


Secondo Jaber, dunque, “non è la povertà il problema principale: una volta che riusciranno a liberarsi dalle dittature, molti africani smetteranno da soli di spostarsi dai loro Paesi verso l’Europa“. Una condizione, quella dell’emigrante, che Jaber conosce in prima persona: “Ho lasciato l’Eritrea per l’Arabia Saudita con la mia famiglia, quando avevo due anni e sono tornato quando avevo poco meno di 30 anni, nel 2010”.

È in quel periodo che Jaber “decide di diventare eritreo”: in parte spinto dai racconti carichi di nostalgia della nonna, ma soprattutto perché, crescendo, scopre che i “veri” sauditi non lo considerano uno di loro. “Tutti i Paesi del Golfo hanno un atteggiamento negativo verso gli africani” dice. “Così ho deciso di imparare l’inno nazionale, di scegliere un cantante preferito e una squadra del cuore eritrei, che prendessero il posto di quelli sauditi”. Oggi, però, Jaber non può più tornare nel suo Paese di origine e ha scelto un nuovo Paese di adozione: il Qatar, dove lavora come editor per l’emittente ‘Al-Jazeera’.

“Gli eritrei ce l’hanno con i miei romanzi” sospira lo scrittore. Non può sorprendere che le autorità di Asmara non amino la letteratura di Jaber, che pure ha ottenuto numerosi premi sin dal suo primo romanzo, Samraweit (2012), che ha ottenuto il premio Sharjah per la creatività araba.

Nei suoi libri, che affrontano di volta in volta temi storici e di attualità, lo scrittore denuncia a più riprese il sistema di potere di Asmara. In particolare, viene alla luce il tema della leva militare, che nel tempo è diventata obbligatoria per persone sempre più giovani e ora è imposta a ragazzi e ragazze di 16 anni.

“È una situazione che ricorda ‘Il Deserto dei Tartari’ di Dino Buzzati” dice Jaber. “I campi di addestramento servono ad annichilire la volontà dei cittadini, per metterla al servizio del regime. Così l’unica via di fuga è migrare, attraversando i confini con il Sudan e l’Etiopia o andando in Yemen”.

Fino a quando questo sistema non verrà smantellato, trattati bilaterali, intese e partenariati “non avranno nessun valore” risponde lo scrittore alla ‘Dire’, che gli chiede delle relazioni tra Roma e Asmara. E sulla pace firmata l’anno scorso con l’Etiopia Jaber non è molto più ottimista: “In Etiopia ha avuto effetti positivi, in Eritrea non è cambiato niente”.

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