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Spiaggia ‘El pedocin’, uomini e donne divisi da un muro a Trieste

Questo muro si trova nella spiaggia dello stabilimento balneare "La Lanterna" e ormai è diventata famosa in tutto il mondo

Pubblicato:08-05-2018 12:51
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:51
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TRIESTE – Uomini da una parte e donne e bambini (fino a 12 anni) dall’altra. Rigorosamente separati da un muro bianco lungo 74 metri e alto tre che contraddistingue in tutta Europa, unica nel suo genere, la spiaggia in ciottoli bianchi dello stabilimento balneare “La Lanterna“, ma più comunemente noto come “El Pedocin” – di proprietà del Comune di Trieste -, che tradotto dal dialetto significa “piccolo pidocchio“. Il perché si chiami così resta un mezzo mistero: o per la grande quantità di cozze in mare (“pedoci” in triestino) oppure perché vi andavano a “spidocchiarsi” i militari dell’imperatore Francesco Giuseppe. Quel che è certo, invece, è che si tratta di un luogo storico e “intoccabile” per i triestini che ne vanno particolarmente fieri da quando, nel 1903, il Comune costruì, lungo il molo Santa Teresa – oggi Fratelli Bandiera – il primo stabilimento balneare pubblico ossia “il Bagno alla Lanterna” per la vicinanza della lanterna collocata sul molo nel 1832 come faro marittimo.

NACQUE COME STACCIONATA PER LA PRIVACY

In realtà pare che il primissimo nome fu “Ciodin” perché i bagnanti si portavano da casa i chiodini per appendere lungo il muro i propri abiti. Venne inaugurato durante l’impero asburgico e il muro divisore che taglia letteralmente in due la spiaggia, sempre affollatissima nei mesi estivi ma aperta anche durante l’inverno, entrando parzialmente in mare, fu progettato inizialmente come staccionata per ragioni di privacy. In sostanza per impedire “atti contrari alla decenza” -in perfetto stile asburgico- salvaguardando così il gentil sesso.

DAL 1984 SI PAGA UN EURO PER ENTRARE

“El Pedocin” si trova in pieno centro città, sulle Rive, e risulta congeniale soprattutto per chi lavora o ha poco tempo a disposizione essendo facilmente raggiungibile: fino al 1984 il suo ingresso è rimasto totalmente gratuito mentre da allora il costo è di un euro, indipendentemente da quante ore vi si trascorre al suo interno. Le donne triestine, specialmente di una certa età, amano particolarmente questo tratto di mare sentendosi più libere lontane da occhi indiscreti proprio grazie al muro divisore che non è sinonimo di segregazione ma di totale tranquillità: in questo luogo per certi versi “fuori dal mondo” la vergogna e la timidezza di mostrare le proprie nudità – magari segnate dall’avanzare inesorabile del tempo – smettono di esistere e la disinvoltura ha la meglio.


PER ‘SBIRCIARE’ DI LA’ BASTA NUOTARE AL LARGO

Si racconta che all’epoca della sua costruzione, chi osava fare il furbetto “sconfinando” nell’altra zona andasse incontro a pene molto severe. Oggi non si corre più alcun rischio e sostanzialmente la correttezza prevale anche se gli uomini più attempati hanno adottato un altro stratagemma che è quello di nuotare al largo allungando l’occhio verso la spiaggia invasa da donne di tutte le età che possono godere di un’area più ampia rispetto a quella maschile. L’acqua alta resta infatti l’unica area comune.

I TRIESTINI SONO MOLTO GELOSI DI QUEL MURO

Per il resto, tutto al Pedocin è separato: bagni, spogliatoi e persino le docce. E guai a chi prova a rivoluzionare questa tradizione: i triestini sono affezionatissimi al muro bianco alto tre metri. Di abbatterlo non se ne parla. Anzi, vi fu persino un referendum nel 1943 che ebbe un responso molto preciso: la separazione andava mantenuta e il verdetto fu unanime.

La fama del Pedocin, negli anni, ha fatto il giro del mondo e lo stabilimento è diventato location di documentari e persino di qualche film come “L’ultima spiaggia“: non manca poi addirittura il gelato al gusto “Pedocin” rigorosamente all’anguria che richiama l’estate. Due anni fa, era l’estate del 2016, lo stabilimento balneare salì agli onori delle cronache per la presenza in spiaggia di donne di religione musulmana con il velo e con il cosiddetto burkini ossia il costume che copre quasi completamente il corpo. Una contraddizione? Niente affatto. Le dirette interessate avevano parlato di tranquillità e di voglia di sentirsi a proprio agio esattamente come le triestine doc senza veli.

Di fatto non esiste un regolamento comunale che vieti l’accesso a qualcuno sebbene all’epoca la maggioranza di centrodestra che guida il Comune di Trieste si fosse mobilitata in tal senso salvo poi non concludere nulla.

di Elisabetta Batic, giornalista

(Foto tratte dalla pagina Facebook della stabilimento)

 

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