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Dopo lo scandalo Guidi serve una legge per regolare le lobby

di Barbara Varchetta, (Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali)

Pubblicato:08-04-2016 17:18
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:32

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di Barbara Varchetta (Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali)

C’è di tutto nella vicenda che ha travolto, qualche giorno fa, il ministro Guidi costringendola alle immediate dimissioni: attività di dossieraggio a carico di un altro ministro col preciso intento di influenzare i provvedimenti del Governo, appalti milionari a favore dei più vicini congiunti degli stessi membri dell’esecutivo nazionale, ammodernamenti (dai costi miliardari) di settori strategici per l’intero Paese usati come merce di scambio per ottenere favori e corsie preferenziali, nomine ad hoc nei comparti ministeriali d’interesse operate per agevolare gruppi di potere che tendono ad accaparrarsi lavori e commesse di ingente entità e per un tempo talmente lungo da gratificare più generazioni della “combriccola dei furbetti”, promesse rivolte agli imprenditori coinvolti nell’imbarazzante vicenda, l’emendamento per snellire le procedure, difeso dal Governo, e che i parlamentari dell’opposizione vedono invece come la prova del coinvolgimento.

Se questi fatti vengono inquadrati con altre vicende uscite sugli organi di informazione – dal salvataggio di Banca Etruria che danni ingenti ha contemporaneamente prodotto ai piccoli risparmiatori, alle polemiche sorte sulla volontà di affidare un settore molto delicato e costoso come la cyber security ad un fedelissimo dello stesso presidente del Consiglio- la questione Guidi assume dei connotati completamente diversi: parte offesa sì, ma soltanto per ciò che attiene alla sfera privata di una simile grottesca vicenda. Offesa da un compagno che la gestisce a proprio uso e per le proprie illecite finalità, incalzata senza alcun rispetto con l’obiettivo di costringerla ad agire in favore del comitato d’affari di cui il suo uomo è parte integrante, affiancata e spesso scavalcata nel suo ruolo di ministro della Repubblica da “consulenti volontari”, espressione di quelle stesse lobbies e di quegli interessi residuali che nulla hanno a che vedere con le esigenze della gente comune, di quell’Italia che arranca sotto il peso della disoccupazione e della crisi in tutti i settori produttivi.


Il tema è quello dei gruppi di potere che governano realmente le sorti italiane e che hanno interesse a sostenere un esecutivo che ritengono in sintonia. In un simile contesto, e posta l’impossibilità che la politica ed i suoi rappresentanti vivano disancorati dalle pressioni che quotidianamente ricevono, la soluzione auspicabile (ed anche più dignitosa) dovrebbe procedere nella direzione di una regolamentazione legislativa del sistema di lobbing, così come previsto da numerosi ordinamenti europei, dalla stessa UE o dagli USA: le dinamiche lobbiste esistono da sempre e da altrettanto tempo influenzano le decisioni pubbliche; lasciarle nell’ombra è un vulnus per la democrazia, contraddistinta invece dai caratteri della trasparenza e della legalità. I cittadini hanno diritto di conoscere quali pressioni si abbattono su chi li governa e cosa determina l’approvazione di alcune leggi per poter valutare con oggettività l’operato delle istituzioni chiamate a rappresentarli.

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