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VIDEO | 8 marzo, Elina Chauvet: “Le mie scarpe rosse hanno preso a calci i tabù”

Abbiamo intervistato l'artista, di origine messicana, che ha avuto l'idea delle installazioni di scarpe rosse come simbolo della violenza sulle donne

Pubblicato:08-03-2019 14:45
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:12

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ROMA – “Parlare della violenza sulle donne un tempo era un tabù. Oggi sempre più persone affrontano il tema, si è creato un effetto domino, e in questo l’arte gioca un ruolo. Le mie scarpe rosse ne sono la prova“. Ha ragione Elina Chauvet, l’artista di origine messicana che nel 2009 ha ideato il progetto ‘Zapatos Rojos‘, per l’appunto ‘scarpe rosse‘: installazioni in strada, nelle piazze, nelle scuole, nei palazzi del potere… il luogo è importante se serve a portare a galla un tema tanto importante come quello dei femminicidi.



In Messico i femminicidi sono in continuo aumento. Ecco perché ho ideato ‘Pietatem'”. Questa performance, che si terrà al Macro Asilo di Roma il 23 marzo, consiste in una rilettura della ‘Pietà’ di Michelangelo: una croce rosa tenuta in grembo, una valigia, qualche oggetto, e la terra proveniente da un campo di cotone di Ciudad Juarez, città natale dell’artista, dove nel 2001 furono ritrovati i resti di giovani donne.

Da allora la situazione non è cambiata, come Chauvet dichiara all’agenzia Dire: “Le donne di oggi studiano, lavorano, non vogliono più stare solo in casa a badare ai figli e questo credo che generi reazioni violente in alcuni uomini. E’ un momento molto difficile”. In Messico nelle prime 72 ore del 2019, già sette donne – tra cui anche delle minorenni – avevano perso la vita per mano di uomini violenti. Una notizia che ha destato profonde reazioni nell’opinione pubblica, peraltro “abituata” a cifre da record: tra il 2007 e il 2016 sono stati oltre 22.400 i femminicidi.

“Sempre più donne nel mio Paese vengono sequestrate anche in pieno giorno, davanti alla gente ma nessuno interviene. Tutto questo è anche conseguenza dell’impunità” dice Chauvet, che nelle sue opere porta avanti anche una battaglia personale: l’assassinio della sorella minore, per mano del suo compagno. “Solo parlando del fenomeno con insistenza riusciremo a spingere il governo a cambiare le leggi” aggiunge.


“Elina Chauvet non è un simbolo, è una donna con un suo passato, una sua storia, e io la ammiro per questo” dice Monica Pirone, street artist che con Michela Becchis ha invitato l’artista messicana a partecipare a una ‘installazione umana’, ‘Portrait of Woman’. L’iniziativa si terrà ques’oggi al Macro Asilo, per celebrare la Giornata internazionale della donna. Circa novanta donne riunite in cerchio si passeranno ogni 15 secondi una maschera da tenere sul volto.

“Parteciperanno donne di tutte le età e percorsi” prosegue Pirone. “Avremo dalla mamma alla bambina di 12 anni, dall’artista – come Elina – alla modella, la casalinga, l’insegnante. L’obiettivo è riunire le donne, tutte diverse ma in realtà uguali: ognuna si farà carico della storia di una delle donne che sono state uccise“. L’obiettivo è mettere in luce il senso di complicità che può accomunare le donne tra loro, ma anche ricordare agli uomini violenti che quando uccidono, stanno facendo violenza anche alle loro madri, figlie, sorelle, compagne.

“In Italia però, c’è ancora tanta consapevolezza da creare, tanto lavoro da fare. Avremmo bisogno di più artiste impegnate come Elina Chauvet”. Perchè l’arte, assicura Chauvet, “stimola riflessioni, e quindi un cambiamento nella mentalità”. Aiuta anche a portare fuori le vittime dal silenzio: “l’ho visto bene con il mio progetto delle scarpe rosse. Quando ho iniziato, erano poche le persone che parlavano pubblicamente della violenza sulle donne. Poi sono aumentate, tra loro anche chi aveva vissuto esperienze di dolore. Questo perché hanno trovato un canale di comunicazione, che ha creato un effetto domino. Io ho cominciato con trentatré scarpe, oggi sono oltre 300 le installazioni in tutto il mondo“.

Al Macro Asilo di Roma dal 19 al 22 marzo Chauvet prevede anche un’altra performance, ‘Confianza‘ “un progetto con cui ripropongo l’idea di Pippa Bacca e Silvia Moro”. Le due artiste nel 2013 intrapresero un viaggio in autostop da Milano per rincontrarsi a Gerusalemme, vestite da sposa, per lanciare al mondo un messaggio di fiducia e speranza. Pippa Bacca però lungo il tragitto fu violentata e uccisa. “Voglio recuperare quell’idea di fiducia nell’essere umano, come quando la sposa si apre con slancio a una nuova vita”. La performance sarà aperta al pubblico: tutti saranno invitati a partecipare ricamando dei pensieri su un abito da sposa, simile a quello indossato dall’artista italiana assassinata.

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